L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

GIOVANI TALENTI PARMIGIANI: FRANCESCO MARCHI

Parma, fucina di giovani talenti teatrali. Lo era un tempo, lo è ancora. E senza scomodare i grandi nomi, perché il talento non sempre cammina di pari passo con la popolarità, ma va comunque riconosciuto e appoggiato. La città, dunque, pulsa di artisti che, fedeli alle aspirazioni e vocazioni personali, dedicano ogni giorno sudore, passione, ingegno e fatica nel perseguire i propri obiettivi professionali, spesso dando avvio ad una fervida ed entusiastica progettualità che è nutrimento per la realtà teatrale tutta.

Tra questi giovani artigiani del teatro parmigiano siamo certi di poter annoverare l’attore, regista e autore Francesco Marchi, già molto apprezzato per la drammaturgia e regia del recente “Guerriera”, spettacolo di fine intelligenza e potente modernità, interpretato da Cristina Gianni e prodotto da Teatro Piteco (di cui è socio fondatore). Anche la formazione professionale di Marchi è pressochè tutta parmigiana: un primo incontro con il teatro grazie agli stage di Teatro Due, poi allievo di Umberto Fabi, e successivamente, per alcuni anni, attore al Teatro del Cerchio. Dopo il diploma in biomeccanica teatrale con il maestro Bogdanov, segna una svolta nel suo percorso l’incontro con Eugenio Allegri, di cui diventa allievo; prosegue poi con progetti tenuti da Dario Turrini, Antonio Zanoletti, Bruno Stori e molti altri, fino a conseguire nel 2009 il premio del pubblico alla rassegna Ermo Colle per lo spettacolo “Franco Loi e Vittorio Sereni: da poeta a poeta” e ulteriori importanti riconoscimenti per i progetti condotti al Liceo G. Marconi (nel 2012 primo premio Teatro della Memoria indetto da Anpi e nel 2015 premio Teatro Civile al Festival Nazionale per il teatro scolastico).

In questi ultimi anni sono tante le collaborazioni teatrali che Marchi ha instaurato con le realtà cittadine, in particolare con Europa Teatri, dove sabato 9 febbraio alle 21.15, interpreterà un originale monologo teatrale, “Angeli scapestrati”, da lui stesso pensato e costruito.

Quando si è accesa in te la passione per il Teatro? “Non saprei esattamente. Ancora adesso cerco di farmi domande su questo mestiere e su quelle che sono le mie attitudini. Quello che so è che il modo in cui faccio ora teatro è molto diverso da quello che praticavo solo pochi anni fa. Sto cominciando a capire ora cosa significa essere attore, autore, regista. E’ un percorso di crescita molto lungo, difficile, e cerco sempre di intraprendere ogni passo con grande umiltà. Ma forse un momento significativo di avvicinamento al teatro c’è stato e ha, anche se solo idealmente, segnato un inizio: è stato ai tempi della scuola, quando frequentavo il Liceo Classico Romagnosi, nel 2007. Un attore del Teatro Due, Lino Guanciale, ora molto famoso, venne a tenere una lezione-spettacolo in classe e rimasi incantato nel vedere come riusciva a gestire il connubio tra insegnamento e arte. Se ci fu per me una folgorazione, credo si possa associare a quella lezione. Da quando vivo il teatro, anche da regista-formatore nelle scuole, tento di conservare la leggerezza e la cura pedagogica che sedimentarono in me in quell'occasione”

Di cosa parla “Angeli Scapestrati” e come ti è nata l’idea? “Nasce dalla mia passione viscerale per l’aviazione. E’ un interesse che coltivo fin da piccolo. Dovendo scrivere un monologo ho pensato “partiamo da qualcosa di sincero, di autentico e genuino” e così sono andato ad attingere alla mia infanzia. Mi ricordo che stavo ore a sfogliare i fascicoli sul tema che trovavo nel Giornalino dei Ragazzi, mi innamoravo delle linee degli aerei. Poi, intorno al 2013 mi sono detto che era giunto il momento di dare forma scritta a quella passione. Quindi, ho costruito un monologo teatrale che racconta di storie ed aneddoti dei piloti di aerei durante la Seconda Guerra Mondiale. Ovviamente il lavoro non vuole essere in alcun modo celebrativo delle gesta compiute in tempo di guerra. Per me che da lungo tempo realizzo progetti teatrali con l’Anpi di Parma, e per quelle che sono le mie personali opinioni al riguardo, sarebbe impensabile scrivere un testo in cui ci fosse il benchè minimo rischio di essere tacciato di revisionismo. Questo lavoro è piuttosto una esplorazione dell’umanità che ha attraversato quegli anni terribili, solcando i cieli”

Dicevi che sono i fatti reali a comporre la drammaturgia. Come hai organizzato il lavoro di ricerca di questo materiale? “Non è stato semplice. Ho raccolto documenti in tutti i principali musei italiani dedicati all’aviazione, poi ho parlato con i testimoni veri e propri di quelle esperienze, come Franco Benetti, che mi ha fatto da cicerone nel museo dei Colli Euganei. Oppure Luigi Gorrini, ex pilota che viveva ad Alseno, considerato una celebrità dai suoi compaesani. Infine, ho compiuto delle ricerche approfondite nel web: ho scoperto che ci sono tantissimi appassionati di questa materia. Una volta raccolta la documentazione, ho dovuto compiere un grande lavoro di selezione, di limatura e pulitura. E’ stata un’elaborazione di sintesi che mi ha portato ad affrontare quel particolare periodo storico, dalla dichiarazione di guerra fino all’armistizio dell’8 settembre 1943, ma sempre conservando una prospettiva umana sulla Storia. Memore della scuola del Teatro Settimo, il mio modesto tentativo è stato quello di riservare grande cura e attenzione nella raccolta e composizione dei materiali bibliografici per sapere esattamente di cosa si doveva parlare: è stato fondamentale conoscere a fondo gli avvenimenti e le testimonianze. Sono vicende realmente accadute che impongono rispetto nell’essere narrate e io ho solo in parte aggiunto una componente di fantasia per rendere tutto teatralmente fruibile. Lo spettacolo è un omaggio agli uomini che hanno vissuto quelle storie particolari e uniche. Ora, col passare degli anni, sono rimasti in pochi a poterle raccontare, non dobbiamo dimenticarlo”

Tu sei molto impegnato anche nella didattica teatrale. Quanto conta per un attore dedicarsi in prima persona alla formazione del pubblico? “Per me è indispensabile perché consente di mettersi in contatto con un codice di linguaggio più antico. Per mantenere vivo il Teatro occorre investire nella formazione del pubblico, aiutarlo a sviluppare uno sguardo critico. E credo che l’artista sia il punto di congiunzione ideale, poiché porta in scena l’Uomo stesso con i suoi conflitti, nonchè lo sforzo democratico di una comunità tutta. Insegnare, recitare: in entrambi i casi è come passare attraverso i grandi rituali dell’umanità, e al contempo ascoltare gli esempi delle vite degli altri. Mentre insegni sei allievo anche tu, è la prima regola. L’insegnamento, così come il Teatro, vive perché c’è questo scambio, questo passaggio continuo da ambedue le parti coinvolte, maestro e allievo, e dunque attore e pubblico. Sono figlio di una insegnante e credo di parlare a ragion veduta”    

Attore, regista, drammaturgo, formatore: in quale veste ti senti più a tuo agio? “In realtà in nessuna ma voglio precisare cosa intendo: non sento di avere ancora raggiunto gli obiettivi che mi sono prefissato e dunque non riesco a darmi una definizione. Mi sento in costante crescita. Quello che però posso dire, senza riserva alcuna, è che mi auguro di non tradire mai la “serietà del gioco teatrale”.”

Per info e prenotazioni: 0521 243377

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