L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

MARIA PIA PAGLIARECCI: "LA NOSTRA PICCOLA SCUOLA DEL TEATRO DEL CERCHIO"

La bella, intraprendente e operosa realtà del Teatro del Cerchio, tra le più frequentate dal pubblico parmigiano, è associata da sempre alla figura del suo energico direttore artistico, Mario Mascitelli. Non tutti sanno, però, che a fianco di questo attivissimo uomo di teatro, da qualche anno si muove con analoga efficienza e dinamicità anche una donna di profonda cultura e vasta esperienza teatrale, ovvero Maria Pia Pagliarecci, moglie amatissima di Mascitelli e madre del loro piccolo Eugenio. Laureata in Storia del Teatro e dello Spettacolo alla Cattolica di Milano, ha maturato un percorso lavorativo denso di pubblicazioni, docenze, interventi fomativi ed esperienze professionali (registiche, attorali e organizzative), grazie alle collaborazioni con numerosi Maestri del Teatro, che le hanno alfine consentito di sviluppare una spiccata sensibilità e un’attenzione particolare alla complessità della materia teatrale. In particolare, ha rappresentato una tappa importante nella sua formazione di insegnante e organizzatrice, l’attività di programmatrice al Centro Culturale San Fedele di Milano, l’assunzione della direzione organizzativa e didattica della Scuola di Teatro dei Teatri Possibili di Milano e il coordinamento di tutte le scuole del Circuito Teatri Possibili, nel periodo compreso dal 2003 al 2006. Diventare, quindi, insegnante e coordinatrice dei corsi anche alla Piccola Scuola del Teatro del Cerchio (senza dimenticare la regia e le interpretazioni in alcune delle più recenti produzioni TDC) è sembrato un passaggio più che logico, motivato non solo dal solido legame affettivo con Mascitelli, ma anche da una preparazione professionale ben riconosciuta e apprezzata.

Una volta conclusa la stagione serale, che vedrà l’ultimo appuntamento sabato 27 aprile alle 21 con “Il caso Dorian Gray”, sarà proprio sugli esiti dei corsi di recitazione e regia che verterà la programmazione di tutto il mese di maggio e parte di quella di giugno al Teatro del Cerchio.

Sig.ra Pagliarecci, quali sono i cardini strutturali della Piccola Scuola del Teatro del Cerchio? “Abbiamo deciso di chiamarla “scuola” e non attività laboratoriale o altro, anche se di fatto i corsi sono brevi. Questo perché la scuola ha una sua precisa organizzazione interna, un suo impianto ordinato. Quando sono arrivata qui a Parma, ho ovviamente ereditato l’impostazione data dal direttore artistico Mascitelli, ma ero d’accordo con l’idea di definirla “scuola"; e anche con l’aggettivo “piccola” che la identifica e che la distingue da un percorso a più alto livello professionale come potrebbe essere un’accademia. Restiamo umili nel presentare questa opportunità artistica che ha, tuttavia, l’ambizione di avviare i suoi allievi alla professione attorale. I corsi hanno poi obiettivi formativi condivisi dai diversi insegnanti, volti a consolidare e potenziare le basi di recitazione, nonché a far acquisire di anno in anno delle competenze in più. Non vogliamo che siano intesi solo come un percorso di ricerca personale o di libera espressione della propria creatività. Insistiamo perché chi segue i nostri corsi arrivi all’acquisizione di alcune tecniche teatrali fondamentali, quali ad esempio la presenza scenica o l’uso della voce. Il sistema della scuola è molto articolato, comprende 18 corsi, sviluppati su diverse età, inclusi i bambini, e si struttura su tre livelli: base, intermedio e avanzato, prevedendo una formazione triennale. Abbiamo, inoltre, avviato dei corsi avanzati di recitazione per chi ha già terminato il percorso, costituendo così una sorta di laboratorio permanente che permetta di perfezionare la propria formazione d’attore. In sostanza, l’approccio allo studio è accademico, ma intrapreso con molta più umiltà, e forse meno tensione per chi si iscrive”

I corsi sono anche integrati da proposte importanti. Quali? “Parte fondamentale della nostra proposta formativa è quella costituita dai seminari intensivi con nomi davvero autorevoli del panorama nazionale e internazionale; ne cito due su tutti, César Brie e Antonio Zanoletti, con i quali abbiamo instaurato una lunga collaborazione. Ma molto importanti da segnalare sono anche i workshops tecnici, sempre inseriti ad affiancare la nomale offerta didattica, che va detto apre a corsi non solo di recitazione ma anche di regia, di scrittura drammaturgica, di dizione. Da quest’anno abbiamo introdotto anche la recitazione cinematografica e una serie di incontri aperti al pubblico per aiutare a sviluppare uno sguardo critico sugli spettacoli. Insomma, crediamo di abbracciare le esigenze e le curiosità di tanti, del resto possiamo vantare una media di 250 allievi iscritti e se il terreno di incontro è diversificato è sicuramente meglio per tutti”

Ogni anno decidete di affrontare insieme un grande autore. Stavolta il focus è su Molière. Perchè questa scelta? “Abbiamo imboccato questa strada una decina d’anni fa, ritenendo opportuno focalizzare i corsi, ad esclusione di quelli per i bambini e gli adolescenti, sulle opere di uno stesso autore, scelto di anno in anno. Questa decisione risponde innanzitutto all’idea di dare una formazione la più possibile completa sui grandi autori teatrali. I classici sono una grande palestra, non dobbiamo dimenticarlo. Sui capisaldi del teatro ci si può allenare, che siano questi scritti da Shakespeare o Pirandello; il valore di un classico è universale e consente di mettersi alla prova su qualcosa di praticamente perfetto. Così, il primo anno ci siamo misurati con l’opera del Bardo, poi è stato il turno di Pirandello, Goldoni, Brecht, Beckett, Cechov…fino a Molière. Crediamo fermamente che sia un modo utile e anche divertente, coinvolgente, di fare divulgazione culturale nel senso più nobile del termine, per accendere curiosità e per stimolare poi un personale percorso di approfondimento della materia”

Lei proviene dall’ambiente teatrale milanese, dove ha intrapreso un lungo percorso di collaborazioni ed esperienze sia nella formazione che nella messainscena. Cosa ha riscontrato di diverso rispetto alla realtà di Parma? “Sicuramente a Milano c’è la possibilità di seguire più eventi dal respiro internazionale. Ma ciò che mi ha rinfrancata quando sono arrivata a Parma è stata la viva percezione di abitare una città con una tradizione teatrale molto profonda e radicata, credo dovuta anche alla presenza storica del Teatro Regio. Anche i piccoli centri in provincia hanno un teatro, ad esempio. E poi la programmazione è varia e proiettata al futuro, all’innovazione, alla sperimentazione. C’è un’ottima offerta, una grande differenziazione nelle proposte, quella che si può definire una cultura teatrale capillare che inizia fin dalle scuole. Questa è una grande ricchezza che non sempre si trova, nemmeno nelle grandi città. Penso che sotto questo aspetto Parma costiuisca una specie di unicum”

Mai come in quest’era del digitale si avverte l’urgenza di recuperare l’autenticità nelle relazioni. Quanto la diretta esperienza teatrale può aiutare nel rapporto con gli altri? “Questo è un argomento che mi sta particolarmente a cuore. E’ vero che il teatro è in controtendenza, ma va a soddisfare proprio quel bisogno profondamente umano, anche sul piano antropologico, di stare con gli altri, di fare comunità. Oggi i giovani sono attratti dal cinema, ma dietro a quell’espressione artistica c’è sempre una rappresentazione di un incontro fra persone ed è lì che va cercata la chiave per soddisfare l’esigenza di comunicazione. La vera ribellione oggi è cercare la relazione con l’Altro. Una magia che solo il Teatro può compiere. Non puoi fare teatro se non hai attenzione per l’Altro e non ti poni in ascolto. Tra le grandi competenze che un corso di teatro ti può dare tecnicamente, c’è appunto questa: ti obbliga a stare in ascolto, a stringere una relazione con il pubblico, con lo spazio, con il testo e con il sentimento. Anche acquisire soltanto una di queste abilità, permette di sviluppare competenze indispensabili che possono servire in ogni ambito, non solo quello artistico. Il Teatro è una straordinaria scuola di vita, dove la relazione sta al centro, ecco perchè fare teatro implica anche una trasformazione: il teatro ti cambia, muove e allena all’empatia e questo non riguarda solo chi decide di fare un corso di teatro, ma anche lo spettatore. Il Teatro emoziona e commuove, nel senso che muove qualcosa dentro, insieme agli altri. E’ un po’ il principio del “teatro di comunità” da cui io provengo, essendomi formata proprio alla Cattolica con il prof. Sisto Dalla Palma, fondatore del CRT Centro Ricerche Teatrali. E’ lì che ho cominciato a comprendere il senso vero di questa arte, la sua funzione sociale, il suo essere rito speciale che può davvero aiutare una collettività intera a rielaborare le proprie ferite”

Nel portare avanti questo impegno trasversale di regista, formatrice e attrice, c’è un nome del Teatro a cui s’ispira o a cui deve in modo particolare? “In realtà, ci sono molte figure di straordinari professionisti che mi hanno aiutata a comprendere questo mondo; innanzitutto, Claudio Bernardi, il mio primo insegnante di teatro e poi i maestri incontrati nel periodo universitario. Fondamentale è stato anche l’incontro con Ezio Alberione con cui ho fondato la Compagnia Picciola a Milano, e con cui ho stretto un vero sodalizio artistico. Tra i grandissimi autori cito, invece, l'attore Louis Jouvet, su cui preparai la tesi e che è sempre stato il mio punto di riferimento. Attraverso il suo studio ho potuto conoscere un altro grande teorico del teatro come Copeau. Anche da loro ho appreso i due principi base a cui da sempre mi attengo quando insegno: disciplina ed emozione. Se manca una di esse non può esserci buon teatro”

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