L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

FABIO MARCEDDU e ANTONELLO MURGIA: "ALFONSINA PANCIAVUOTA PARLA AL NOSTRO PRESENTE"

“Una favola nera di riscatto (…) Un’opera capace di restituire il nodo di storie di una generazione di madri e donne”. Questo è solo uno stralcio della motivazione che ha portato la giuria dell’ultimo Festival Teatrale di Resistenza ad assegnare il Premio Museo Cervi 2019 allo spettacolo “Alfonsina Panciavuota” della compagnia sarda Teatrodallarmadio. Un lavoro scritto e interpretato da Fabio Marceddu, con la regia e l’ideazione scenica di Antonello Murgia, che ha raccolto enormi consensi non solo dalla critica ma anche dal pubblico, conquistato dalla storia umanissima di Alfonsina, venduta a soli dieci anni a una ricca famiglia di proprietari minerari, esponenti del potere oppressivo e vessatorio nella Sardegna del secondo dopoguerra. La vicenda drammatica di Alfonsina, vittima a sua volta di abusi, offese e violenze, diventa al tempo stesso propulsiva di un percorso d’iniziazione che la condurrà a una forma di libertà e affrancamento, teso al recupero della propria dignità di donna e persona. Una storia individuale, apparentemente lontana, che rinvia al pensiero di storie di cronaca più attuali e vicine e che, domenica 11 agosto, alle 21.15, verrà raccontata, attraverso l’intensa interpretazione di Marceddu, a Villa Borri di Basilicagoiano (PR), nell’ambito della diciottesima edizione del palio poetico teatrale Ermo Colle. Proprio al protagonista e al regista Murgia abbiamo rivolto alcune domande su questo riuscito esempio di teatro civile.      

Un riconoscimento importante il Premio Museo Cervi- Teatro della Memoria. Questo spettacolo risveglia quale memoria e richiama a quale resistenza? “(Marceddu) Esistono tante resistenze, oggi come allora, e viviamo in un periodo storico, in un tempo presente, in cui la memoria sembra appartenere al futuro, per dirla alla T.S. Eliot. Ma richiamandoci nello specifico ad Alfonsina, è la storia di una figlia del popolo, nata nel 1932, che vive gli anni tremendi della guerra e quelli confusi del dopo conflitto, in una terra difficile come era allora la Sardegna. È il racconto della resistenza di tutti coloro che non si rassegnano alle oppressioni e che così facendo, lottano per l’affermazione di quei valori e di quel rispetto dell’essere umano che dovrebbero essere già acquisiti, connaturati al sentire di una comunità”

“(Murgia) E’ la resistenza del singolo che combatte un potere ottuso come il fascismo e chi lo rappresentava, ed è la battaglia personale, anche intima, profonda, di chi non vuole delegare a un partito, o a un padrone violento, la propria identità sul piano sociale”

Fame di cibo quella di Alfonsina, ma soprattutto di dignità e giustizia. Un discorso che assurge a una dimensione più ampia, ben oltre la condizione femminile. Nasce anche da questa consapevolezza la scelta di un interprete maschile? “(Marceddu) La premessa da fare è un’altra. Io provengo dal teatro classico e, proprio per questa mia formazione, credo che l’interpretazione teatrale vada oltre il genere del personaggio; a volte è proprio nell’incarnare una figura diversa da noi che riusciamo a trovare il giusto distacco e l’accordo migliore, che stabiliamo vibrazioni davvero speciali. Di certo, la storia di Alfonsina parla del passato ma per guardare all’oggi, a una condizione femminile che forse, in parte, si è evoluta in Italia, ma non in altri luoghi, in altre terre. E nemmeno così lontane da noi, anzi”

“(Murgia) La magia del teatro, quello non troppo intellettualizzato, quello che si erge su un approccio più profondo, sensibile, e meno convenzionale o accademico, porta a un tipo di recitazione che supera qualsiasi distinzione di genere. È questo che è stupefacente: il pubblico dimentica subito che chi racconta la storia in prima persona è un uomo. L’attore crea il personaggio, crea la poesia. È quella straordinarietà del teatro che è sempre esistita, che si fonda sull’immaginazione, e che alimenta anche la nostra poetica“

Parlando di personaggio e creazione, come è stata costruita la drammaturgia e a chi vi siete ispirati per disegnare questa figura femminile? “(Marceddu) La struttura drammaturgica è stata costruita seguendo uno schema classico, in tre atti, e per la mia interpretazione mi sono ispirato alle nostre mamme, mia e di Antonello, entrambe classe 1932, come Alfonsina. Sono donne che hanno visto e vissuto quegli anni, che hanno respirato quel clima e sofferto la miseria. Non hanno, per fortuna, subito angherie, ma attraverso di loro, la loro storia personale che è vita vera e non memoria trasmessa, ho potuto capire e raccogliere molto"

“(Murgia) Prima di pensare alla scena ho voluto attendere che tutta la drammaturgia fosse finita. Quando l’ho letta, sono rimasto profondamente colpito e commosso. Ma mi sono anche subito interrogato sulle questioni pratiche di realizzazione e trasporto del materiale di scena, facendo considerazioni di carattere “geografico”: questo spettacolo doveva stare dentro una valigia da stiva non superiore ai 20 kg, per poter muoversi e circuitare. Questo limite apparente, mi ha invece regalato una grande libertà espressiva, mi ha stimolato tantissimo nella ricerca di soluzioni. Sono così arrivato a una scenografia rigorosa, a una metodica sovrapposizione di veli di tulle nero, che vanno a costruire una sorta di scultura, caricandosi di una forte simbologia. La persistenza del colore nero apre a una infinità di visioni e di letture, in primis quella di chi viene violato, come Alfonsina, lasciando una traccia di dolore incancellabile”.

Quali formule e quali registri avete adottato per allontanare lo spettro della retorica? “(Murgia) Innanzitutto, una regia che si occupasse della recitazione, o meglio che lasciasse libertà all’attore di rivelare un proprio tesoro emotivo: qui non c’è un interprete che imita e non c’è un registro che indica cosa fare. C’è la volontà, l’impegno, di recuperare un’autenticità delle cose, delle azioni e delle parole. L’attore è connesso a una verità e il problema della tecnica, se vogliamo, viene in qualche modo superato, si va oltre le convenzioni stabilite. È un principio che s’ispira al metodo Strasberg, a cui noi ci affidiamo molto”

“(Marceddu) La mia opinione è molto schietta e onesta: il nostro è un lavoro che deve conservare il proprio aspetto artigianale. Quello che conta davvero e che un attore deve dire, lo può dire al meglio solo in scena, io credo, cercando di dare il massimo nell’esercizio della propria arte, nel trasmettere un messaggio, nel risvegliare un pensiero, un’emozione. Come si arriva a quel risultato, su quale percorso sentito, percepito e attraversato, il pubblico lo può vedere espresso in tutta la sua forza solo nel “qui e ora” dello spettacolo”

La componente musicale è fondante dei vostri lavori. È così anche in questo spettacolo? “(Marceddu) Sì, anche in questo caso. Sono melodie pensate e composte da Antonello proprio per questo personaggio.”

“(Murgia) Io nasco come chitarrista ma queste sono musiche per pianoforte, che interpreto io direttamente. Le ho immaginate suonate da una bambina e, dunque, con incertezza, con qualche imprecisione. È una cosa voluta. Sono note complementari alla scena, ed è come se fossero in simbiosi con essa. Passano inosservate perché creano un amalgama con il racconto, diventano un tutt’uno”

Lo sguardo dell’artista è sempre uno sguardo sul mondo reale. Dunque chi sono le pance vuote di oggi e che cosa reclamano? “(Marceddu) Denunciamo quello che non va del nostro presente, partendo dal racconto di un passato, che però è incredibilmente simile, per molti aspetti, all’attualità. Le pance vuote sono ancora quelle di chi, per estrazione, per origine, per colore della pelle, è tenuto ai margini ma chiede giustizia”

“(Murgia) Oggi il problema non sono le pance ma le teste vuote. C’è fame, intesa come bisogno, di pensiero consapevole, di ragionamento coscienzioso. Alfonsina viene venduta a 10 anni, ma anche adesso ci sono ragazzine che vengono cedute a facoltosi uomini d’affari o politici. E tutto con una pericolosa superficialità. Un tempo la pancia era vuota perché si mangiava poco. Oggi si pensa poco e, quel che è peggio, anche il cuore si è svuotato, rendendoci sempre meno umani e comprensivi”

Mi ha molto colpito, leggendo la presentazione del Teatrodallarmadio, quello che è lo scopo della vostra ricerca artistica: “il diritto alla gioia e di alternative ai vicoli ciechi”. Il teatro come luogo di riscossa contro la difficoltà del vivere e come spazio per dare lezione di umanità, quindi? “(Marceddu) E’ una dichiarazione di Antonello che invita a cambiare il punto di vista su ottimismo e pessimismo. Il teatro può essere tutto, anche tristezza, ma il diritto alla gioia deve essere insito nel teatro stesso. A volte invece gli artisti sono troppo lamentosi! Questo è un atteggiamento che sa di arrendevolezza, di cedimento. Nulla a che vedere con la tristezza che è uno stato d’animo nobilissimo e talvolta addirittura un trampolino verso la gioia stessa. Tristezza e gioia sanno creare dialettica. Il vero nemico da respingere è il nichilismo, l’inazione, l’apatia.”

“(Murgia) Questa sorta di frase manifesto è un sorriso disobbediente, un atto di ribellione contro chi vuole farci credere che siamo nati per soffrire. Siamo al mondo per provare a raggiungere la gioia e verso quella dobbiamo camminare! Il Teatro deve aiutarci in questo percorso. E impedirci di piangere sulla nostra dipartita quando siamo in realtà ancora vivi”

Quanto è importante partecipare a rassegne come Ermo Colle che operano fuori dagli edifici teatrali e in contesti all’aperto, di provincia? “(Marceddu) Noi li consideriamo dei veri presidi di libertà artistica ed espressiva. E molti di questi, come Ermo Colle, Le Voci dell'Anima di Argan e Carli a Rimini, il Festival Teatrale di Resistenza, sono presenti proprio in Emilia Romagna. E’ fondamentale che esistano delle isole così. Purtroppo, in alcuni festival si percepisce un clima asfittico che non aiuta la creatività”

“(Murgia) L’arte è una delle poche cose che ha la forza di cambiare il mondo, ma occorre farla sentire libera perché questo accada. E simili proposte culturali sono fondamentali”

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