La recensione

"LA VISITA DELLA VECCHIA SIGNORA": un grande e meritato successo TDC

Di Friedrich Dürrenmatt

CON Mario Aroldi, Gabriella Carrozza, Chiara Casoli, Damiano Camarda, Silvia Santospirito, Martina Manzini, Alfredo Biondolillo, Giulio Landini, Mattia Scolari, Giovanni Pazzoni, Matteo Amoruso, Ennio Cantoni, Stefano Dall'Asta, Sabrina Cristoforidis, Veronica Recchia , Beniamino Di Nunzio, Jacopo Mero, Laura Mattioli, Emanuele Gravela, Gabriele Tondelli, Alessia Corinti, Francesca Ghisotti, Carlotta Morlini e Francesco Varacca

REGIA Mario Mascitelli

PRODUZIONE Teatro del Cerchio

Può il denaro comprare la giustizia? Può scardinare le coscienze e deformarne principi morali e valori civili, al punto da condurre le persone a un vero e proprio imbarbarimento? Della leggerezza della natura umana, della sua degradante avidità (mai del tutto assente, anche quando non palese), delle ciniche spinte individualistiche a cui troppo facilmente essa si piega, hanno raccontato e dibattuto nei secoli i più grandi intellettuali e filosofi e ne hanno tratto avveduta ispirazione anche geniali drammaturghi come lo svizzero Friedrich Dürrenmatt, tra i maggiori esponenti del teatro epico e politico di inizio ‘900.

A una delle sue opere più efficacemente frequentate a teatro, “La visita della vecchia signora”, è stata dedicata anche una recente, bellissima, produzione per adulti firmata Teatro del Cerchio, messinscena affidata alla regia sicura ed esperta di Mario Mascitelli e a un gruppo affiatato, vigoroso, sintonizzato ed energico, di ben 24 attori. Quattro repliche, tra la fine di gennaio e i primi di febbraio, tutte salutate da un sincero e meritato profluvio di applausi, cui ha fatto seguito però anche la commossa amarezza di sapere che questo rappresentava l’ultimo spettacolo della stagione serale, non essendoci ancora soluzione al problema della sede. L’entusiasmo di fronte alla qualità del lavoro proposto ha però superato la mesta consapevolezza del temporaneo congedo artistico e ne ha determinato, possiamo dirlo, la sua più generosa riscossa.

Sì, perché quello visto all’Auditorium Toscanini è stato un lavoro egregio, forse uno dei più riusciti del Cerchio, in quanto a intelligente valorizzazione dell’artigianalità teatrale, e all’esemplare coraggio di rischiare, mettendo in campo personalità attorali eterogenee, sia sul piano dell’esperienza teatrale che su quello dell’età e del carisma, ma tutte a loro modo fedeli, perfettamente calate nel ruolo assegnato, a dipingere coscientemente un impietoso, crudele e divertito affresco di umanità con pennellate brechtiane, ilari e stranianti, dinamiche e perturbanti, sarcastiche e grottesche. La vicenda si dipana fluentemente seguendo l’intreccio tradizionale che vede protagonista l’immaginaria località di Gullen, finita in rovina con i suoi disgraziati e corruttibili abitanti, dove dopo quarant’anni fa ritorno Claire Zachanassian, ex compaesana divenuta nel frattempo miliardaria la quale promette di donare alla città una cifra da capogiro se in cambio qualcuno ucciderà Alfred Ill, l’uomo che l’aveva abbandonata da ragazza, dopo averla messa incinta.

Società meschina questa di Gullen, reductio ad absurdum di una larga fetta di mondo, impoverita non solo nelle tasche ma anche nell’animo (“Viviamo? Vegetiamo”), che si diverte facendo la conta alla stazione dei treni in arrivo e in partenza, tessendo i fili di un’attesa insensata, con le tre Moire decadute e trasandate delle prime battute, che ostenta falso rigore morale e assoluta rettitudine, come l’ipocrita Borgomastro (interpretato da un eccellente Damiano Camarda), che piange miseria ma sembra restare immutabile e immobile nella sua condizione, parodia di se stessa, del proprio tempo e delle relazioni che crea, con parole enunciate solo a metà e poi sovrastate dal rumore dei treni sulle rotaie.

Il lavoro di Mascitelli mette bene in luce la progressiva degenerazione dei valori, il finto perbenismo dei personaggi i quali dopo un primo deciso rifiuto alla richiesta della signora cominceranno lentamente a fare spazio all’ambizione e all’avidità, smascherando la poca coscienza dei più semplici ma anche di chi dovrebbe incarnare la legge e le istituzioni, dunque il poliziotto (ottimamente reso dal giovane Giovanni Pazzoni), il parroco (convincente Mattia Scolari), e il preside della scuola, a cui il bravissimo Matteo Amoruso dona realistico spessore e un giusto dissidio introspettivo, soprattutto nel passaggio in cui l’uomo, ormai soggiogato dalla prospettiva di una futura ricchezza, sembra dichiarare la sua resa morale (“Sto diventando un assassino. La mia fede nell’umanesimo non basta”).

A guidare la giostra di corpi e voci (tra cui spiccano per presenza scenica e piglio anche Silvia Santospirito, Martina Manzini e Stefano Dall’Asta), c’è lei, la vecchia signora, nella recitazione accurata di Gabriella Carrozza (brava nel sottrarre al personaggio tratti e toni più fisici e accostarlo il più possibile all’immagine di una sovrumana “Parca, dea greca del destino”), la quale ritorna con la ferma intenzione di punire la “hybris” di Alfred Ill, suo ex amante e traditore, perfettamente interpretato dal veterano Mario Aroldi. Figura drammatica e cupa quella di Ill, portavoce della coscienza morale a cui lui per primo in passato ha rinunciato, abbandonando Claire e la figlia, ma di cui oggi sente tutto il peso, oppresso in ugual misura dai sensi di colpa e dall’imminenza del pericolo: un tempo vezzeggiato dalla donna come “appassionata pantera”, viene oggi braccato come un animale reale, tormentato senza manifesta intenzione ma con subdola cattiveria e inquietante, pervasivo, cinismo, dai quei suoi concittadini, tutti ugualmente bramosi di riscuotere il lauto compenso promesso da Claire. È la sua paura, contrapposta e parallela alla sicurezza esibita da Claire, a governare la storia, a direzionarne dettagli e scarti emotivi, a marcarne i tempi (“Ho paura, il benessere aumenta” e ancora “Ad ogni segno di prosperità sento la morte avvicinarsi”).

Quadri scenici si compongono e mutano a vista gli spazi, sincronizzati su felici intuizioni musicali di note espressioniste d’antan, sciolgono le situazioni, creano nuove dinamiche, rinnovate tensioni, sempre vivaci e mai scariche o scolorite, con i cartelli che di volta in volta segnalano il luogo dell’azione, e doppi piani agiti in contemporanea, sul proscenio e sul fondo del palco, in perenne intersezione visiva, temporale e di pensiero. Tutto si muove, nell’anima della comunità così come in scena, ma nulla cambia in realtà, nello stato delle cose, nella natura, nella storia. “Homo homini lupus” e, si sa, l’uomo è debole, incapace di destreggiarsi fra regole e leggi di convivenza, figuriamoci in un paese che una ricca signora ha gettato intenzionalmente nel caos primitivo (“Il mondo mi ha fatto una puttana” dice Claire “e io farò di lui un bordello”). Il destino di Ill è segnato fin dall’inizio (e la vecchia lo sa bene, avendo portato con sé la bara dove seppellirà “ la forma spezzata” dei suoi ricordi) ma è la condanna dettata dagli uomini a destabilizzare e sorprendere, è la mistificazione della verità che lascia alla fine inermi, sconfitti, colpevoli. “Non per amore di denaro ma per amore di giustizia e per dovere di coscienza” recita l’atroce verdetto pubblico finale che decreta la morte di Ill e muove noi spettatori a una profonda, attuale e necessaria, riflessione critica sul significato autentico delle relazioni e della giustizia nella moderna società capitalistica.

Nella chiosa un augurio: che questo spettacolo possa essere presto ripreso e offerto nuovamente al pubblico in uno spazio più consono e adeguato ad esaltare una meritevole compagine artistica, qui dispiegata con tutta la forza e lo slancio dei suoi elementi. 

(ph.credit Marco Vasini)

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