L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

FABIO IVAN PIGOLA: "CONTROSCENA, LA NUOVA COLLANA EDITORIALE PER IL TEATRO"

Un piccolo, valoroso, progetto editoriale teso a promuovere la nuova drammaturgia e la scrittura teatrale di qualità si sta affermando in questi mesi a livello nazionale. A lanciarlo è stata la coraggiosa casa editrice pavese Divergenze, una bella realtà indipendente nel mondo dell’editoria che, come cita la presentazione ufficiale, “nasce per proporre, comunicare, salvaguardare la cultura letteraria e del pensiero, senza scopo di lucro”, preservando altresì la bellezza e il pregio di ciò che si “sviluppa tramite il libro fisico”. Solo testi cartacei, dunque, finemente rilegati, di narrativa, saggistica, poesia e, negli ultimi tempi, anche di teatro, con la collana dedicata Controscena. “La funzione base dell’arte è creare domande” racconta Fabio Ivan Pigola, anima del progetto e direttore editoriale di Divergenze “questo vale anche per il testo drammaturgico che deve saper scuotere la coscienza e non lasciare mai indifferenti”

Scegliere di pubblicare testi per il teatro e soprattutto guardare ai nuovi autori, oggi potrebbe essere considerata un’azione spericolata. Cosa muove questo atto di coraggio? “Nell’ambito della letteratura, a cui il testo teatrale appartiene, non si presentano più gli stessi fattori di un tempo. Scrivere di teatro oggi è molto difficile. In primis perché la cultura della lettura è andata scemando e si è via via privilegiata la pubblicazione di saggi e romanzi; per questo motivo, avendo il mercato privilegiato altri generi, la scrittura teatrale ha subito una sorta di involuzione, restringendo di conseguenza il proprio pubblico quasi solo agli appassionati e agli esperti del ramo, Se questa è la situazione attuale, perché allora ho deciso di avviare il progetto? Forse sono un po’ incosciente, ma devo scontrarmi con la mia coscienza. Se l’arte è l’unica cosa concreta che rimane di noi, uomini e donne, al mondo, io non intendo fare xenofobia artistica, privilegiando una forma letteraria rispetto ad un’altra. Il teatro è la più antica pratica artistica vivente, fatta di corpi e voci, espressione massima dell’umanità. Potevo forse tralasciare l’opera scritta che si traduce poi in tutto questo? Ho pensato che fosse necessario investire tempo e attenzione anche su questa categoria letteraria, che inevitabilmente porta a riflettere sul concetto stesso di Teatro, arte dinamica di contemplazione, riconoscimento e consapevolezza”

Ma come funziona Controscena? Chi può partecipare? “Tutti possono inviare i loro manoscritti, ma aggiungo una battuta: non abbiate paura a mandarci le vostre opere, abbiate timore della nostra selezione. Non siamo orientati a pubblicare testi che vanno palesemente incontro al gusto popolare e più commerciale. Vogliamo, invece, incentrare il nostro lavoro sulla ricerca della qualità. Le opere vengono accuratamente selezionate grazie all’impegno di 36 consulenti letterari, e poi vagliate dalle due direttrici di Controscena, Francesca Benazzi e Angela Di Maso, professioniste appassionate e competenti. Il testo che prendiamo in esame deve piacere a tutti per essere poi promosso. Operiamo così al fine di garantire la massima pluralità di valutazione, e questo proprio per rispondere a quell’idea di socialità artistica che contraddistingue l’impegno di Divergenze. Non solo. Rispetta anche il principio fondante del teatro che è espressione di gruppo, coinvolgimento collettivo, utile per guardare dentro sé stessi. Una cosa simile succede quindi durante la selezione dei manoscritti: attraverso delle schede di lettura siamo chiamati ad esprimere un’opinione e se il testo presentato entusiasma tutti in modo unanime è quello giusto. La qualità artistica della scrittura è il fattore determinante, a prescindere da quanto la singola opera sia effettivamente rappresentabile sulla scena”

Già due pubblicazioni all’attivo, con distribuzione nazionale: "La guerra dell'acqua" di David Manzoni, e pochi giorni fa, “Una cosa bella” della giovanissima Benedetta Carrara. Come sta procedendo? Quale è stata la risposta dei lettori? “Il libro di Manzoni è uscito poco prima della pandemia e sta ottenendo un ottimo riconoscimento: siamo già alla terza ristampa, quindi ben oltre le 2000 copie pubblicate. L’autore ci aveva stupiti per lo stile “teatrale” già con la sua opera precedente, il racconto “I provinciali”, poi definito il migliore del nuovo millennio. Benedetta è, invece, la prova vivente che il dato anagrafico sotto il profilo artistico conta meno di zero, essendo lei nemmeno ventenne. “Una cosa bella” è un emozionante atto unico ispirato agli ultimi giorni di vita del poeta John Keats. Il libro ha esordito due settimane fa ma, con orgoglio, possiamo dire che ci sono già 300 prenotazioni. Mi preme sottolineare che i proventi della casa editrice vengono devoluti alle Onlus. Questo è uno dei principi fondativi di Divergenze, dichiarato apertamente anche sul nostro sito www.divergenze.eu Quando abbiamo costituito questo gruppo volevamo dar vita a un sogno e creare qualcosa che non rispondesse tanto alle leggi di mercato, ma che tenesse invece bene a mente la necessità di arrivare anche nelle piccole cartolibrerie di paese. La filosofia che ci anima è sempre stata questa: i nostri libri non sono soluzioni per «fare business» né ascensori per la fama, vetrine per l’ego dell’editore o degli autori. Le nostre collane vogliono promuovere una cultura senza adescamenti, anche per questo i libri pubblicati hanno copertine minimali. Se si tratta di un capolavoro lo decide il lettore. Come editori noi possiamo solo amare i testi che trattiamo come se fossero figli di carta”

Non è un momento facile per il teatro, diciamo pure per tutto il comparto culturale. Che strategie di difesa possiamo adottare in un’atmosfera così fosca? “L’ho scritto anche pubblicamente e mi fa piacere ripeterlo: non bisogna chiudere i teatri ma i teatrini, intesi come teatrini politici, economici, gestiti da ambigui personaggi che si muovono in questo ambiente. In poche parole, urge liberare il settore dal guinzaglio delle lobby. La cura per il mondo teatrale, ma anche culturale nella sua totalità, è prendere atto del male, abbracciarlo, capirlo ed, infine, emarginarlo, proprio come si fa con il virus. Le lobby sono il Covid della cultura e del teatro in Italia. Purtroppo, oggi abbiamo perso la visione a lungo termine. Dovremmo combattere le solite squallide procedure politico-comunicative in cui spesso ci imbattiamo, lottare contro le consorterie, e dimostrare piena coscienza, volontà di difendere il patrimonio culturale, ragionando non come individui ma come società, come collettività. L’esperienza teatrale offre già in sé una cura, rappresentando formazione e consapevolezza di gruppo, ma dobbiamo tutti impegnarci di più a recuperare la sua essenza originaria: il teatro deve restare umano per acquisire unicità. Non può essere visto come un feudo e non si può rischiare di rinchiuderlo in torri d’avorio intellettualistiche”

Alla luce della sua preparazione e della sua passione per letteratura e teatro, sente di poter dare suggerimenti o consigli a chi intende cimentarsi nella scrittura teatrale? “Per la verità non ne ho perché è giusto che l’autore sia libero di esprimersi e segua il fluire dei suoi pensieri, delle sue emozioni. Però, ritengo sia fondamentale che chi si appresta a scrivere per la scena non dimentichi mai che il teatro è una disciplina umana in grado di portare sul palco la realtà. Non c’è falsità a teatro e, dunque, non può esserci nella scrittura. Un attore deve diventare ciò che recita, un drammaturgo ciò che scrive. Il teatro è una disciplina che unisce passione e poesia, dando forma alla realtà, ma è anche vero che la vita ne sa sempre una più della fantasia. Nel teatro tutto è finto ma nulla è falso, perché ogni storia si nutre del rapporto fra attore e spettatore, nel loro rispecchiarsi che è verità, e così facendo, incarnando più esistenze, entrambi vivono più forti e più a lungo. Se tutto questo deve accadere sul palco, lo stesso dovrà avvenire nella scrittura per il teatro: la parola scritta, così come quando è pronunciata e recitata, dovrà far provare tutte le emozioni possibili. Noi cerchiamo testi così, che facciano percepire una forte vibrazione emotiva, una gamma di sensazioni e stati d’animo. Chi scrive deve diventare, giocoforza, tutti i personaggi della sua commedia o del suo dramma. A noi editori spetta poi il compito di aprire un ideale sipario sul valore e il talento di questi intrepidi artisti della parola”

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