L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

MAURO FELICORI, Assessore alla Cultura della Regione Emilia Romagna: "APRIAMOCI AL NUOVO PER RIPARTIRE"

Tra le metafore del Teatro che meglio potrebbero attagliarsi al momento storico attuale c’è sicuramente quella usata dal Maestro Andrea Camilleri, eccelso romanziere ma anche grande scrittore per la scena e regista: il Teatro, sia per chi lo fa, sia per lo spettatore, è un ombrello. Non può del tutto evitare che ci si bagni, ma può comunque riparare dalla pioggia scrosciante. Ed è di questo riparo che la nostra società, scossa da una violenta tempesta, ha oggi più che mai bisogno. Purtroppo, la realtà è che l’ultima azione di governo, volta a contenere la pandemia, ci ha privati di questa protezione, causando nel settore artistico, ma non solo, una sensazione di profondo smarrimento e sconcerto. La chiusura dei teatri e di tutti i luoghi della cultura reca in sé, infatti, un rischio troppo alto: il divieto alla partecipazione della comunità può condurre a un irreversibile intorpidimento del pensiero collettivo e delle coscienze. Molti hanno lamentato la scarsa attenzione prestata al problema dalle più alte cariche politiche, ma se questo è vero e sotto gli occhi di tutti in riferimento alla mancanza di un efficace piano nazionale di interventi, è altrettanto palese che alcune figure politiche, a livello locale, stiano tentando di progettare e proporre in una direzione diversa, tesa al rispetto, alla rivalutazione e al riconoscimento del lavoro artistico e culturale. Della situazione teatrale nella nostra regione abbiamo chiesto all’Assessore alla Cultura e Paesaggio della Regione Emilia Romagna, Mauro Felicori, partendo dalla prospettiva territoriale di Parma, a cui il blog di Teatropoli si riferisce.

È di questi ultimi giorni la petizione #CulturaAperta che Parma, come Capitale Italiana della Cultura in carica, ha lanciato al governo per chiedere, attraverso cinque punti sicuri e realizzabili, di riconsiderare alcune misure di restrizione. L’appello di Parma muove dall’urgenza condivisa di riaprire, attraverso nuove regole e opportuni contingentamenti, alcuni spazi culturali, ma racchiude anche un valore simbolico esemplare e proprio per il titolo di cui la città si fregia. Come è stata accolta l’iniziativa dalla Regione e come si intende sostenerla? “Si tratta di una petizione sacrosanta, legittima, assolutamente da abbracciare nei contenuti che presenta. Risponde allo sforzo di reagire a una manovra di governo che ha indubbiamente penalizzato il settore della cultura. In merito a ciò la mia posizione ufficiale è sempre stata chiara: continuo a ribadire che i teatri sono fra i luoghi più sicuri. Appoggio la linea più severa della prevenzione, e dunque la necessità di intervenire con misure particolarmente rigorose, ma ritengo anche che per quanto concerne il mondo del teatro e della cultura in generale, siano state adottate limitazioni eccessive, troppo dannose sul piano economico ed artistico e non corrispondenti al reale livello di contagiosità degli spazi. Quindi, ben vengano Iniziative come quella promossa dall’Assessore alla Cultura del Comune di Parma, Michele Guerra, in grado di richiamare l’attenzione pubblica su una questione molto delicata. Apprezzo il lavoro che si sta facendo anche in prospettiva del 2021; del resto è un rapporto stretto, di massima fiducia e collaborazione, quello che abbiamo intessuto con Parma e anche con le città vicine, Reggio Emilia e Piacenza, che hanno lavorato in sinergia. L’emergenza sanitaria ha rafforzato la cooperazione con questo territorio, anche sul fronte culturale”

L’ultimo DPCM ha segnato una terribile battuta di arresto per le attività teatrali in presenza. La reazione dei soggetti coinvolti è stata però leggermente diversa, da città a città. Pur avendo tutti lavorato alacremente in questi ultimi mesi, investendo risorse, tempo ed energie per la regolamentazione degli accessi e degli spazi, le più importanti realtà teatrali parmigiane, dal Regio, al Due, al Lenz, e ad eccezione delle rassegne musicali, hanno sospeso la programmazione, preservando l’immanenza dell’esperienza fisica in sala. Altri contesti teatrali, regionali e non, hanno invece preferito sperimentare con maggior frequenza forme di digitalizzazione applicate alla fruizione scenica. Qual è il suo punto di vista al riguardo? “È semplice: noi dobbiamo provare in tutti i modi a resistere, in un senso morale, civile ma anche artistico, dobbiamo impegnarci a salvaguardare il nostro patrimonio e per farlo è indispensabile continuare a produrre, esplorare, indagare. Solo questo ci permetterà di accumulare dati per uscire più forti dalla crisi pandemica. Per quanto riguarda l’uso dello streaming, sono favorevole se penso a una fruizione musicale, come quella egregia proposta da Fondazione Toscanini: è un servizio che rendiamo al cittadino e che l’artista rende a sé stesso perché ha un aspetto formativo, offrendo occasioni importanti per provare e ricercare. Faremo tesoro di queste esperienze e forse ci serviranno anche dopo, quando i teatri potranno finalmente riaprire e riprendere la forma più sublime, quella della fruizione dal vivo. Se tutto questo può valere per la musica, per la prosa e la danza il discorso però si complica. Resistere e guardare a nuovi mezzi di comunicazione non significa snaturare l’essenza del teatro, ma sperimentare se le occasioni lo permettono, valutando di caso in caso. Ad esempio, ho molto apprezzato i tentativi fatti dalla Fondazione Danza di realizzare brevi prodotti audiovisivi, attingendo alle forme della regia televisiva. Quello che credo sia importante ora è preservare l’autenticità artistica di ogni singola realtà, perché è vitale in questo momento esplorare tutte le possibilità che consentano di mantenere un legame con il pubblico, ma è anche vero che alcuni progetti artistici, e penso proprio alle grandi produzioni o ai festival dei teatri da lei citati, non sono riproducibili in video. In conclusione: è decisivo aprirsi al nuovo, evitando atteggiamenti conservatori, preparando il terreno per future opportunità, indagando strumenti che possono rivelarsi utili, ma ogni realtà teatrale deve sentirsi libera di mettere in campo le proprie scelte artistiche, senza tradirne visioni, progettualità e intenti. I teatri e i luoghi della cultura sono e resteranno sempre luoghi imprescindibili di consapevolezza sociale”

I teatri come avamposti in cui l’identità collettiva si riconosce e si ricompone. Parma lo sa bene e ha una radicata tradizione teatrale che lo testimonia. È però anche una città con una ferita aperta: quella legata alla vicenda del Teatro delle Briciole, un luogo d’eccellenza che ha contribuito a scrivere la storia teatrale parmigiana e non solo. La Regione come guarda a questa gravissima situazione, inasprita dal blocco nazionale? “Sono al corrente di quanto accaduto, anche se la vicenda si è aperta molti mesi prima del mio insediamento. Allo stato attuale preferisco non rilasciare dichiarazioni perché la Regione non è stata ancora coinvolta formalmente, e dunque ad oggi non posso tenere una posizione ufficiale aggiornata riguardo a questa grave crisi. Da parte nostra non significa disinteresse, ma volontà di muoversi in modo organico, nel rispetto di tutte le parti. La Regione non è stata sollecitata dalle realtà territoriali ed è indispensabile prima coordinare ogni azione o posizione al riguardo”.

Difficile in un momento delicato come questo riuscire a mantenere gli equilibri. Penso soprattutto a quelle compagini teatrali in crescita, organizzate, attive, operose ma che su un ipotetico piano di trattativa risultano sicuramente meno determinanti rispetto alle grandi istituzioni teatrali. A Parma un esempio è il Teatro del Cerchio che, rimasto senza una sede dopo oltre quindici anni di attività, ha ora acquistato uno stabile dove creare un nuovo polo culturale di teatro contemporaneo. In che modo le amministrazioni locali e le realtà teatrali più piccole possono lavorare sinergicamente per parare gli urti dell’emergenza attuale che va sommandosi a difficoltà preesistenti? “Parto da un esempio come questo, con le sue caratteristiche particolari, per ampliare il discorso e sottolineare ancora una volta la lunga tradizione teatrale della nostra regione, ricca di teatri che nascono come progetti indipendenti, o per l’inventiva di un gruppo, ma che trovano nell’arco di un percorso produttivo meritevole e di successo, aiuti e contributi anche dalle istituzioni. Lo spirito imprenditoriale in campo teatrale più che altro risponde a un intento cooperativistico e merita di essere valorizzato. Tra le mie linee di lavoro ho in animo di premiare, attraverso alcuni provvedimenti futuri, proprio quei teatri che necessitano di aiuti concreti per far decollare l’attività. Stiamo studiando anche progetti significativi attuabili con il Recovery Fund; inoltre è previsto l’avvio di lavori per la messa in sicurezza e l’ammodernamento tecnologico di molte sale culturali e, se riusciamo, nel 2021 aumenteremo i fondi destinati ai teatri, in modo da andare incontro anche alle realtà indipendenti”.

Confusione, spaesamento, indeterminatezza sono un po’ figlie del nostro tempo. Parlando del settore teatrale, in molti auspicano che proprio i soggetti più grandi e organizzati sappiano oggi intervenire con fermezza, fornendo esempi di trasparenza, equità e rigore, principi che infonderebbero grande fiducia al settore. Allora, a proposito di chiarezza le chiedo: uscirà l’atteso bando pubblico per l’incarico di direttore artistico ad ERT Emilia Romagna Teatro, sicuramente il soggetto teatrale più forte in regione? “Non si sa ancora, ma è possibile. Lo Statuto di ERT lascia aperta una doppia possibilità di conferimento dell’incarico: quella appunto del bando e quella di una cosiddetta “nomina diretta”. Al momento, e malgrado i tempi davvero strettissimi, poiché l’attuale direzione terminerebbe il proprio mandato il 30 novembre, non è stata ancora presa una decisione. ERT è una fondazione che abbraccia al suo interno diverse aree territoriali e numerose realtà, e il consiglio di amministrazione si è trovato costretto ad esaminare, con poco preavviso, una situazione non semplice, che esige la massima attenzione. Ora come ora mi sento di dire che un principio di trasparenza verrà sicuramente perseguito, e che sarà presa la decisione più intelligente ed equa”

Si parla sempre di un “prima pandemia” e di un “dopo pandemia”. È così per tutti i settori della vita, lavorativi e non, poiché siamo consapevoli che, al di là della tragedia, il virus ci abbia costretti a rivedere le nostre priorità e abbia portato alla luce quei fragili meccanismi dati per assodati e imperituri. Se il teatro è politico ma è anche lo specchio dove riflettere il nostro presente, saprà farsi portavoce del cambiamento? E la politica culturale è pronta ad appoggiare questo rinnovamento o preferirà richiamarsi a una idea di “continuità” rispetto a quel prima che non esiste più? “Propendo sempre per una visione lungimirante, orientata all’apertura e all’innovazione. Non mi appassiona la continuità. Mi entusiasma, invece, la ricerca di nuove ambizioni, di nuove ispirazioni, lo slancio propositivo. Come evolverà il teatro? Questo non so dirlo, sarà materia degli uomini di teatro scoprirlo, toccherà a loro interpretare i segni e gli strappi di questa nostra epoca. Ma da un punto di vista dell’amministrazione, l’impegno della Regione è volto a sostenere la ricerca e la sperimentazione, ad accogliere nuova linfa creativa. Ci credo così tanto che ho proposto l’Emilia Romagna come terzo polo nazionale nella produzione artistica e teatrale, dopo il Lazio con Roma e la Lombardia con Milano. Non ho dubbi che la nostra regione sia in grado di fornire quella cornice di incoraggiamento e quella forza propulsiva di cui l’arte ha ora più che mai bisogno”

Non le chiedo di fare pronostici, il periodo non lo permette, ma che ripresa si augura sul fronte culturale dopo questa seconda, difficilissima, pausa forzata? Come sta lavorando la politica regionale per la ripartenza che tutti auspichiamo per dicembre? “Non voglio apparire sentimentale o rischiare di scivolare nella retorica, per cui mi limito a ribadire un concetto espresso poc’anzi. La pandemia globale ha rappresentato una immane tragedia, ma sta offrendo l’occasione per riconsiderare molti aspetti della nostra vita e del nostro lavoro: chi opera nel mondo della cultura, ad esempio, è stato spinto a conoscere nuovi linguaggi, come quello digitale, a sperimentare nuove modalità comunicative. Forse la lezione che abbiamo appreso è che dobbiamo provare a immaginare di più in tal senso, investire negli spazi tradizionali ma anche in soluzioni alternative. Oggi abbiamo l’opportunità di offrire più canali di fruizione al pubblico, e di fare entrare il digitale in luoghi come le biblioteche o i musei, garantendo un servizio al cittadino. Certo per lo spettacolo dal vivo la situazione è più complicata, ma il digitale può anche in questo caso offrire occasioni di ricerca e sperimentazione. Ripeto: può, senza obblighi, perché l’artista non deve sentirsi costretto ad usare un linguaggio soltanto, lontano dalla sua visione creativa. Ma la politica culturale deve essere attenta ad accogliere le nuove forme espressive e a comprenderne le potenzialità. Questo il mio auspicio e la mia prospettiva futura per il comparto cultura: continuare ad allargare l’area delle opportunità, senza che nessuno si senta escluso o inessenziale”

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