L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

DEBORA ZUIN: "AMLETA E I DIRITTI DELLE DONNE A TEATRO"

“Il Teatro, quale luogo di cultura e democrazia per eccellenza, non può che dare l’esempio, dimostrare di essere un modello nella ricerca di un rinnovamento del sistema, sia in termini di trasparenza che di pari opportunità reali”. Lo afferma con passione e partecipazione autentica l’attrice Debora Zuin, tra le più grintose referenti di “Amlet_a”, il nuovo collettivo femminista nato per tutelare e rivendicare i diritti delle donne nel settore dello spettacolo dal vivo. Un gruppo organizzato, di recentissima costituzione, che intende impegnarsi attivamente non solo contro violenze e abusi in ambito lavorativo, ma anche dimostrare, dati inconfutabili alla mano, la disparità occupazionale, perché “non siamo più disposte ad accettare la cancellazione del punto di vista femminile da molte, troppe professioni teatrali”.

Ma cos’ è esattamente Amlet_a, come nasce, per iniziativa di chi e perché ha deciso di chiamarsi così, al di là del chiaro riferimento drammaturgico? “Il nostro collettivo, che definiamo femminista, è andato via via evolvendosi partendo dal “Tavolo di Genere” che nel marzo scorso si era creato all’interno del movimento Attrici e Attori Uniti. Oggi Amlet_a è il risultato di questi mesi di confronto e dibattito. Il gruppo è formato principalmente da interpreti donne, alcune delle quali già attiviste da anni, ma attualmente possiamo contare anche su rappresentanze maschili e questo perché quando si parla di “parità di genere” dobbiamo ampliare la riflessione a donne e uomini, puntare sempre al dialogo, allo scambio di idee, senza escludere nessuno. La parte più operativa del collettivo è composta da circa 30 attiviste, provenienti da percorsi artistici e personali molto diversi, a cui si aggiungono, ad oggi, un centinaio di sostenitrici. Attualmente non abbiamo una sede, e tutte le riunioni sono finora avvenute in remoto, ma abbiamo già in previsione di costituirci presto in associazione. Per quanto riguarda il nome prescelto, possiamo dire che esso racchiude già la nostra mission: Amleto è uno dei personaggi più famosi del Teatro, ma alla radice nominale abbiamo aggiunto una lettera a finale, una correzione palese, come a dire che questo è il tempo per provare a riscrivere narrazioni più equilibrate, con più donne rappresentate. Lo sberleffo grafico, però, denota anche un’altra nostra peculiarità, ovvero la modalità ironica e non aggressiva che intendiamo adottare per veicolare, comunque, messaggi di grande importanza e gravità.”

Nel manifesto, visibile sulla vostra pagina facebook ufficiale, si legge chiaramente che il collettivo nasce per esaminare le differenze di trattamento tra uomini e donne nel mondo dello spettacolo. Quali sono i primi dati oggettivi che avete rilevato? “C’è un dato che è chiaro da tempo a tutti quelli che lavorano nel settore, ma che abbiamo voluto in qualche modo avvalorare attraverso una mappatura dei più importanti teatri italiani, ed è quello relativo alla disparità occupazionale. Parliamo non solo di numero di attrici e attori presenti sui palcoscenici, ma anche di alcune professioni di alto livello dirigenziale. Così abbiamo lavorato per raccogliere dati ufficiali che oggi non compaiono in nessun altro contenitore statistico, nemmeno in quello ministeriale, e siamo partite analizzando le stagioni dell’ultimo triennio (2017-2020) di tutti i Teatri Nazionali e di tutti i Teatri di Rilevante Interesse Culturale. Spettacolo per spettacolo abbiamo contato le attrici, le drammaturghe, le registe e, ovviamente, le direttrici. Il risultato ottenuto va molto a discapito della presenza femminile: la percentuale complessiva di donne si aggira sul 32%, se entriamo nello specifico dei ruoli abbiamo poi 35% circa di interpreti femminili, 20% circa di registe, 20% di drammaturghe, mentre se parliamo di primi ruoli direttivi, la percentuale di donne si abbassa notevolmente, fino ad essere del tutto assente dai Teatri nazionali. Questi dati verranno presentati ufficialmente la prossima settimana in un appuntamento che organizzeremo in remoto”

Ma qual è la prima istanza urgente su cui il gruppo intende attivarsi in modo organico? “In questo periodo, sempre sulla linea della riflessione maturata osservando la mappatura, ci stiamo confrontando su un tema molto caldo, ovvero la presenza femminile alla direzione dei teatri di prosa nazionali. Recentemente abbiamo assistito all’iter intrapreso da alcune realtà teatrali in merito alla nomina dei ruoli apicali e, purtroppo, abbiamo assistito a pratiche poco trasparenti, a procedure che si sono rivelate incongrue per ciò che concerne le pari opportunità e che noi, invece, vorremmo ritrovare come una vocazione del Teatro stesso. Se l’arte teatrale è specchio della società, e viviamo in un periodo storico dove è forte l’esigenza comune di una rimessa in discussione della gestione del sistema pubblico, riteniamo che anche nello spettacolo dal vivo sia necessario svecchiare o correggere alcune abitudini ormai fossilizzate. È più che mai urgente adeguare le politiche sociali e culturali agli standard europei. Oggi in Italia non è ancora così. Lo abbiamo visto in questi ultimi mesi sia con la nomina al Piccolo Teatro di Milano, sia con quella di pochi giorni fa al Teatro di Roma: in entrambi i casi non si è riusciti ad arginare certe dinamiche politiche ai tavoli decisionali. Il dibattito sui criteri che regolano questi importanti passaggi di testimone è molto acceso, sentito da tutte le categorie dei lavoratori dello spettacolo, ma allo stato di fatto è sempre difficile cambiare. Altri grandi soggetti teatrali come ERT o lo Stabile del Friuli Venezia Giulia, e senza dimenticare la vicenda dello Stabile d’Abruzzo, seppure qui non sia un teatro nazionale, sembrano più orientati alla nomina diretta di figure maschili, piuttosto che alla pubblicazione di un bando che possa aprire a una partecipazione anche femminile. Sappiamo che in molti casi, a livello statutario, non c’è obbligo di bando, ma proprio per questo pensiamo sia fondamentale mettere in atto dei cambiamenti, chiedere ai diversi cda di assumersi la responsabilità per avviare procedure fondate solo su principi meritocratici e paritari. La soluzione ideale, a nostro avviso, è un monitoraggio esterno a tutti i soggetti istituzionali coinvolti, che non dimentichiamolo ricevono cospicui fondi pubblici, con la creazione di commissioni superpartes che tengano conto al proprio interno di figure manageriali, ma anche di figure artistiche profondamente competenti, le sole davvero capaci di comprendere il lavoro creativo e organizzativo necessario da proporre. La produzione teatrale non può essere intesa come una sorta di impresa da affidare unicamente a dirigenti oppure a uomini di teatro senza comprovata esperienza organizzativa. Dobbiamo invece chiederci: quali conseguenze queste dinamiche possono avere sull’offerta culturale e sul pensiero di una comunità intera?”

Meritocrazia e più quote rosa ai vertici teatrali. Ti faccio una domanda provocatoria: se il merito è qualità che travalica l’appartenenza di genere, lo è in ugual misura il demerito. Come riesce, allora, un gruppo femminista a salvaguardare questo bene ultimo, ossia il rispetto di un reale principio di equità e giustizia, volto alla tutela della cultura tout court e non dei personalismi? “L’aggettivo femminista, nel suo significato abituale, solleva reazioni contrapposte ed è per questo che noi vogliamo metterci in ascolto. Ma la domanda vera che dobbiamo porci è: tra una donna meritocratica e un uomo meritocratico chi viene scelto oggi nel mondo del lavoro? La meritocrazia non può essere una questione di genere, e allora come si può superare un’eventuale discriminazione? Ebbene, solo attraverso la trasparenza dei metodi. Se non vogliamo continuare in eterno a discutere sul tema, su chi è più meritevole a rivestire un ruolo o un altro, dobbiamo recuperare chiarezza d’intenti, far luce sulle procedure, valorizzare la visibilità dei progetti e dei curricula. Se poi, di fronte a parità di competenza, si tende comunque a prediligere un uomo anziché una donna, ecco che un collettivo come il nostro ha il dovere d’ intervenire e chiedere anche una forzatura, cosicché nelle candidature ai vertici sia assicurata la presenza di almeno un nome femminile. Il gender gap va colmato e il nostro obiettivo è che si possa affrontare il discorso con determinazione, ma anche con un po’ d’ironia, sensibilizzando l’opinione pubblica. Il teatro deve saper garantire una diversificazione di narrazione, liberare gli spazi per le donne, e questo in nome della sua imprescindibile funzione pubblica. Dunque, prima concentriamoci sulle pari opportunità, cercando di sorvegliare e segnalare le disparità di genere, e poi diamo valore alla meritocrazia dei singoli”

Occupandomi di giornalismo teatrale mi ha molto incuriosito la nuova rubrica proposta da Amlet_a, vale a dire “Le correzioni di Amlet_a”, una piccola ma efficace battaglia da intraprendere anche sul linguaggio. Ce ne puoi parlare? “Sì, è una cosa molto simpatica e utile che nasce per iniziativa di alcune attiviste più abili con i “social”. Il nostro gruppo è molto eterogeneo al suo interno, con una forte presenza di giovani. Anche grazie al loro contributo possiamo mantenere una nota più lieve e ironica nella comunicazione. La rubrica, in questo caso, vuole coinvolgere il pubblico e promuovere un piccolo cambiamento anche del linguaggio comunemente usato. È per noi uno strumento che ci aiuta a sondare certi argomenti, a monitorare certe abitudini; lo abbiamo fatto anche con una challenge sul teatro ragazzi, che si era trasformata in “teatro ragazze”. Mettiamo in campo piccole strategie per sollevare la questione di genere, parlarne, come abbiamo fatto anche in occasione degli incontri di formazione registrati insieme a filosofi, avvocate, sindacaliste, linguisti. Da questi video estraiamo delle pillole da condividere con tutti. Con questi esperti poi ci scambiamo regolarmente informazioni e materiali che possono aumentare la consapevolezza sulla materia che trattiamo. Con il Sindacato, ad esempio, ci stiamo concentrando molto sul problema delle violenze. Invitiamo chi avesse subito un’aggressione o una molestia sul lavoro a scrivere una mail a osservatoria.amleta@gmail.com perché questo è un tema su cui vorremmo continuare ad impegnarci come parte attiva, collaborando appunto con professioniste, avvocate, centri antiviolenza. A tal riguardo, per le attrici abbiamo anche stilato un “Decalogo del provino sicuro” che si può leggere sui nostri canali social”

Tanti i temi presentati sulla vostra pagina: dal diritto alla maternità, alla necessità di distribuire equamente i fondi pubblici, all’importanza di denunciare abusi sul lavoro. C’è però una questione in particolare che vorrei indagare con te ed è quella relativa alla natura del pubblico. Forse non tutti sanno che la maggior parte del pubblico teatrale è femminile: quanto è importante che l’immaginario in scena sappia restituire correttamente questo punto di vista fondante e come può farlo, attraverso quali strumenti e linguaggi? “La creatività non si può spingere in una direzione, non si può cambiare su richiesta. Ma se si discute di un problema reale, se certi argomenti entrano a far parte di un pensiero quotidiano, piano piano si può provare a costruire delle generazioni future che siano in grado di accorgersi da sole quanto una narrazione, restituita sotto forma artistica, possa essere anche inconsapevolmente di parte o meno. A volte siamo proprio noi donne ad accettare situazioni che riteniamo ormai consolidate, che sentiamo quasi radicate in noi stesse, senza vedere in realtà quanto vengono subite. Per questo è vitale riuscire a declinare diversamente il discorso culturale, rompere gli schemi precostituiti e dati ormai per assodati. L’80% delle storie raccontate in scena è scritta da uomini, ma noi abbiamo il dovere di diversificare la narrazione, offrire anche il punto di vista femminile, perché quello che verrà creato artisticamente e portato in scena avrà un impatto culturale e sociale, se non nell’immediato di certo nel futuro. Che il teatro italiano dia più spazio alle donne, se vuole continuare, come speriamo e crediamo, a parlare la lingua della democrazia, dell’etica e della giustizia”

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