La recensione

UN SACCHETTO D'AMORE

DI E CON : Antonella Questa

PRODUZIONE: LaQ-Prod

“Ovvero i sentimenti al tempo dello shopping compulsivo” sottotitola, con una esplicita ma sottile finalità analitica, il divertente nuovo lavoro di Antonella Questa, protagonista indiscussa della serata di sabato 4 marzo al Teatro del Cerchio. Artista capace, la Questa, intelligente, dotata di tempi comici strepitosi e di una naturale forza empatica che, insieme ad una indiscutibile energia fisica ed espressiva, sa travolgere, entrare in immediata sintonia con il pubblico e strappare più di un applauso (e una risata) a scena aperta.

Così è stato anche per questo “Un sacchetto d’amore”, nuova produzione che, come nei precedenti lavori dell’attrice-autrice, si erge su un impianto testuale e recitativo estremamente ironico, una cifra stilistica distintiva intessuta di umorismo e spontaneità che strizza l’occhio a forme espressive quasi più prossime alla stand-up comedy di qualità, che non al puro monologo. A reinventare soluzioni e a tracciare la linea drammaturgica da seguire è proprio l’abilità affabulativo-narrativa dell’attrice, qui espressa ai massimi termini nella caratterizzazione- attraverso repentine ma puntuali reiterazioni di gesti, nevrosi e cambi di voce connotativi- di una pluralità di personaggi diversissimi tra loro (suocera invadente, marito anaffetivo, cognata frivola e molti altri) che ruotano attorno alla protagonista, Cinzia, e che vengono più o meno coinvolti proprio dalla grave forma di dipendenza che affligge la donna: lo shopping compulsivo.

Un disturbo comportamentale importante questo che, come sarà poi rivelato, tormenta più di 5 milioni di persone ma che, indirettamente, qui smuove una riflessione a più ampio raggio, nell’intenzione di toccare tutti indistintamente. Non è tanto, meglio dire, non è solo l’indagine sociologica sottostante, e cioè il racconto individuale ma esemplificativo di una dipendenza patologica, a dare sostanza e densità allo spettacolo, poiché in quell’estremo bisogno di amore e attenzione reclamato da Cinzia, un po’ riscopriamo altre fragilità, le nostre insicurezze, quell’umanità che ci accomuna e, forse, in ultima istanza, riconosciamo certe piccole dipendenze di altra natura che non vogliamo ammettere a noi stessi ma che pregiudicano la nostra serenità. Se a una riflessione come questa ci si arriva sorridendo, è più facile prendere consapevolezza e magari studiare una strategia di “guarigione”. Del resto, l’invito iniziale della Questa a spegnere i cellulari (“Qui ci si ascolta, ci si rispetta, non ci si può alzare. Se stiamo qui, stiamo qui insieme”) verrà poi ripetuto nel momento in cui Cinzia, prendendo atto del problema, si rivolgerà a un centro di ascolto.

Terapia “teatrale” di gruppo, dunque, verrebbe da chiedersi. E chi di noi non ha provato almeno una volta nella vita “sudorazione, palpitazione, bruciori di stomaco (in quest’ordine)” di fronte a una situazione apparentemente incontrollabile ? Come non soffermarsi sul passaggio in cui Cinzia parla della qualità e la bontà di un “come stai ?” chiesto così, senza scopi secondari più egoistici ? Nel vuoto “immenso, incolmabile e spaventoso” della protagonista, spinta a sopperire alla mancanza emotiva attraverso l’acquisto di beni materiali e ben oltre le proprie possibilità economiche, a considerare “un’amica” la carta di credito, a credere nella “retail therapy” millantata da certi psicoanalisti, s’individuano le tracce di un “noi” più generico e di un bisogno universale di amore che riguarda tutti. Ma su questo tipo di messaggio la retorica fa volentieri capolino e, difatti, resta in agguato, come nella conclusione, quando le dinamiche psicologiche e familiari vanno a ricomporsi positivamente per tutti i personaggi implicati, e così anche nel commiato finale rivolto al pubblico (“E voi di cosa avete bisogno?”) che forse risulta accessorio, spingendo troppo sul pedale di un coinvolgimento già a suo modo in essere.

L’esito complessivo, però, non tradisce le aspettative e questo grazie all’indubbia bravura dell’attrice, qui sostenuta egregiamente, nei suoi formidabili guizzi fisici e linguistici, da una avvincente colonna sonora pop- sempre precisa nel cogliere e sottolineare aspetti emotivi e relazionali della storia- nonché da una scrittura drammaturgica intrisa di acume, arguzia e vivacità. Presupposti importanti per arrivare al cuore ( e alla testa) di chi, infine, ha ascoltato, partecipato, riso sinceramente e applaudito con grande entusiasmo.

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