L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

STEFANO TE': "CON TRASPARENZE FESTIVAL CERCHIAMO BELLEZZA POETICA"

Un viaggio funambolico su un filo teso, a congiungere realtà e visioni. Un momento (meglio dire più momenti artistici e aggregativi, non solo prettamente teatrali, proposti in un ricco e variegato calendario di appuntamenti dal 10 al 14 maggio) in cui percorrere la relazione fra due mondi apparentemente antitetici: quello circostanziato nella dimensione spazio-temporale e quello poetico dell’atto creativo. Così, in breve, il senso delle parole “manifesto” con cui Stefano Tè, Direttore Artistico del “Festival Trasparenze” di Modena, ha presentato l’edizione di quest’anno, appena conclusasi con un bilancio molto positivo per l’attenzione rivolta da operatori teatrali, critici e studiosi, nonché per l’affluenza di pubblico, soprattutto giovane. Un festival che, sul panorama della scena contemporanea, si è sempre distinto per freschezza, entusiasmo, slancio propositivo e inclusivo.  

Ma come e perché nasce “Trasparenze”? Il Festival nasce nel 2012 da una necessità precisa, da una percezione intorno al “mondo teatro” che, nel tempo, è in parte cambiata, maturando ed evolvendosi. Lo spirito che ci ha ispirato e che ci muove tuttora è, però, sempre lo stesso: desideriamo richiamarci a contaminazioni poetiche, lavorare là dove lo sguardo si posa poco, spingerci ai margini, volgere la nostra attenzione a marginalità non solo sociali ma anche artistiche, orientandoci quindi a luoghi del disagio e così pure a giovani compagnie che vanno appoggiate nei loro processi creativi. In questa edizione abbiamo, ad esempio, iniziato un nuovo percorso di formazione teatrale con una cooperativa che si occupa di dare sostegno ai rifugiati, portandoci così a lavorare con un gruppo di richiedenti asilo. Questa è la nostra filosofia: cercare e trovare bellezza anche dove apparentemente sembra scomparsa. Vogliamo alimentare poesia attorno a noi e lo facciamo anche attraverso progetti molto particolari quale è stato, ancora, l’attraversamento urbano di Modena che ha coinvolto 150 attori tra bambini, anziani, rifugiati e detenuti. Questa tendenza progettuale di coinvolgere le persone è profondamente sentita da tutti noi ideatori e organizzatori del Festival. Il valore umano, spirituale ed emozionale della persona è, infatti, al centro del nostro percorso.“Trasparenze” è un Festival che punta all’aggregazione, alla partecipazione diretta, all’incontro, al confronto e al dialogo. In un certo senso, gli eventi teatrali proposti e quelli correlati si animano della stessa forza che portava un tempo alle manifestazioni di piazza. Oggi manifestiamo sempre meno ma quello spirito comunitario e partecipativo lo riscopriamo in questo modo di fare teatro per la comunità: non si resta passivi ma si diventa parte attiva dell’azione teatrale.

Teatro sul territorio e per il territorio, dunque. Quanto è importante questo scambio, questo processo osmotico? Dobbiamo partire da un presupposto fondamentale: il problema principale è la solitudine, dell’artista se non trova confronto con lo spettatore ma anche delle persone in generale. Il tipo di frequentazione teatrale su cui noi puntiamo è speciale. Instauriamo una relazione privilegiata perché fondata sullo scambio reciproco e diretto con il pubblico. Certo questo ci porta ad interagire con fragilità, con situazioni non preparate, con imprevisti che ci conducono inevitabilmente fuori dai codici prestabiliti, comportando grandi rischi. Ma noi sentiamo di dover correre quel rischio e per un’urgenza vitale, un bisogno viscerale, intellettuale e creativo, radicato nella nostra visione di Teatro. Non seguiamo una moda generalizzata: quando questo succede si può cadere in fallimenti anche dove ci sono più risorse economiche, perché “sponsorizzati” da necessità di altro tipo. Non è il nostro caso.

Verso quale progettualità futura intende dirigersi il Festival? “Trasparenze” vive in simbiosi con la Compagnia del “Teatro dei Venti” che si dedica a produzioni di teatro di strada e che, quindi, lavora molto in spazi all’aperto. Non vogliamo allontanarci da questo imprinting e cercheremo sempre di coinvolgere compagnie che si occupano di marginalità e criticità come è stato, in quest’ultima edizione, per “Kronoteatro” con cui abbiamo stabilito una residenza artistica in carcere affinchè si elaborasse un percorso creativo con 15 detenuti. Il nostro sforzo andrà sempre nella direzione di compiere un’operazione culturale per la comunità, per aiutare a superare certi limiti, per stimolare alla percezione di una bellezza poetica che va ricercata anche in luoghi inaspettati.

Si parlava degli spazi offerti alle giovani compagnie, come è stato per il progetto “Cantieri”. Che invito si sente di rivolgere alle nuove generazioni di artisti perché possa servire a loro da incoraggiamento? Ultimamente mi hanno invitato ad affiancare compagnie giovani nei processi di residenza. Ho notato, in generale, che c’è la tendenza a puntare molto al risultato dello spettacolo finale, vanificando in parte l’importanza del percorso intrapreso per realizzarlo. Ci si concentra sull’obiettivo e su ciò che può piacere a una fetta particolare di pubblico. Io vengo senz’altro da un altro tipo di approccio. Penso che quando ti muovi verso una forma artistica devi attraversare l’ignoto. Ecco, abbiamo puntato su compagnie interessate a mettersi in gioco in questo senso, pronte ad operare sul limite dell’ignoto. Con l’aiuto de La Konsulta, un preparato e attento gruppo di giovani spettatori dai 16 a i 25 anni che mi affianca nel Festival, abbiamo individuato 4 compagnie che sono state qui in residenza 5 giorni, lavorando su un tema consegnato il primo giorno di arrivo, il tema del limite, appunto. Le compagnie si sono, poi, alternate in uno spazio comune, organizzandone autonomamente la gestione, con pochi mezzi a disposizione, arrivando a un momento conclusivo di confronto fra loro e, infine, a un esito davanti al pubblico. Credo che vada recuperata tale visione poetica e questo mi sento di dire ai giovani: concentratevi sulla bellezza del cammino creativo, senza pensare troppo ai premi o ai giudizi.

Una volta ho letto, non ricordo la fonte, “Fare Teatro significa fare anima”. E’ così, secondo Lei ? Sono d’accordo, ma credo che sia, soprattutto, un “fare anima collettivo”, per il benessere della collettività. Quando si fa teatro sociale o teatro partecipato si compie un atto rivoluzionario in sè. Si costruisce un Teatro che genera bellezza e produce un antidoto alle brutture del mondo. Non si pretende di annullare o smentire l’esistenza di quel negativo vero che esiste ed è attorno a noi ma possiamo, attraverso l’arte e la poesia, non farci travolgere da esso. Sarà forse visionario, utopico, romantico ma credo che un Artista non possa esimersi da questa ispirazione.  

(se volete trovare informazioni e foto su Trasparenze Festival questo il link : www.trasparenzefestival.it )

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