La recensione

PURGATORIO

Drammaturgia e imagoturgia: Francesco Pititto
Installazione site-specific, elementi plastici, costumi, regia: Maria Federica Maestri
Musica e installazione sonora: Andrea Azzali
In scena: Valentina Barbarini, Fabrizio Croci, Paolo Maccini, Franck Berzieri, Delfina Rivieri
e
attori delle Compagnie dialettali di Parma: Roberto Beretta, Sonia Iemmi, Ylenia Pessina, Mirella Pongolini, Giacomo Rastelli, Cesare Quintavalla, Silvia Reverberi, Valeria Spocci

Produzione: Lenz Fondazione

 

L’architettura monumentale e fortemente simbolica di uno degli edifici storici di Parma, la Crociera dell’Ospedale Vecchio, è componente imprescindibile e polisemica nella nuova creazione site-specific che Lenz Fondazione ha dedicato alla cantica del “Purgatorio”, inaugurando, nell’ambito di Natura Dèi Teatri, il progetto biennale su “La Divina Commedia”.

Nella vastità dei corridoi, nella imponenza delle volte, del disegno a croce greca culminante nella cupola, nella spazialità definita dall’alternanza di vuoti e pieni dove incombono alti scaffali in legno permeati di memoria storica (la struttura fu, infatti, adibita negli anni ’30 ad Archivio di Stato e poi abbandonata), va oggettivandosi la maestosità di un’opera letteraria senza pari, patrimonio di una tradizione comune.

E l’approccio alla complessità della Commedia procede insolitamente, iniziando dal Purgatorio, non dall’Inferno, sicchè la rappresentazione diviene esemplificativa di un processo di purificazione che allegoricamente condurrà, dopo l’espiazione, ai piani successivi di Inferno e Paradiso. Così, il luogo deputato all’allestimento teatrale, ispirato, come sempre nei lavori di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto, da una accurata ricerca estetica, formale e di contenuto, apre a una contemplazione intellettuale ed empatica dell’immaginario dantesco, ma anche a un coinvolgente attraversamento “fisico” del materiale poetico, pur nella sua indispensabile riscrittura drammaturgica.

E’, infatti, un percorso a tappe quello intrapreso dal pubblico, un cammino iniziatico fra l’umano e il sublime, fra storia terrena e storia sacra, un viaggio condotto lentamente, in un’atmosfera di semi-oscurità, che parte dall’antipurgatorio (il portale d’ingresso) dove il poeta Virgilio, guida paterna, introduce a riflessioni dolorose sull’inquietudine, lo smarrimento e la lancinante solitudine che tormenta e muove, come sabbia nel deserto, i miserabili del Purgatorio. Con lui e in compagnia della figura di Dante (un incisivo Fabrizio Croci) ha inizio un attraversamento della navata centrale, scandito dagli incontri con le anime in pena. E’ Catone che li richiama in scena e alla nostra attenzione: superbi, invidiosi, iracondi, accidiosi, avari, golosi e lussuriosi. Sette peccati tradotti materialmente nelle sottogonne di vario colore che l’Angelo vestale (l’intensa e persuasiva Valentina Barbarini) sfila dalla tunica di Dante ad ogni stazione della laica via Crucis.

I quadri scenici prendono forza e vigore dalla tenace espressività di tutti gli interpreti (insieme ai già citati, altri attori storici del Lenz, performer “sensibili” e attori di compagnie amatoriali locali), sostanziati da suoni iconici ma, soprattutto, dall’uso di un linguaggio “basso”, il dialetto parmigiano, che affondando le sue radici nella storia popolare, fa riecheggiare il ricordo vivido di chi abitò e patì realmente, nella malattia corporale, tra le vecchie mura ospedaliere. Le parole dei peccatori affidate al vernacolo appaiono più dolenti, gravide, concrete, più espressive nella loro colorita musicalità, nel raccontare crudemente ed esplicitamente i diversi stati d’animo, le azioni compiute in vita, la rabbia, gli impulsi indomabili, e così pure lo sgomento per la pena da sopportare (va rintracciandosi nel riferimento al poeta volgare Daniel Arnaut, il solo a cui Dante da voce in altra lingua, l’intento artistico perseguito sul piano del registro comunicativo).

Urlano, imprecano, si agitano quelle figure, ombre disperate che vagano nella desolazione e nel buio, illuminato solo da flebili luci a mano che trasfigurano i volti e il tracciato delle prossemiche, emblemi di una condizione umana che si ricompone fuori dal tempo, in un non-luogo filosofico e metafisico della mente e dell’anima, riportandoci idealmente al significato profondo, universale dell’opera letteraria su cui poggia il lavoro.

E un senso di sospensione aleggia fra le grida, i gesti, i racconti di vita invocati e, al tempo stesso, vituperati, nell’illusione di una verità sublimata che può raggiungersi solo avanzando verso il Paradiso, in fondo al corridoio, sulla scala amovibile dove Beatrice attende, dinnanzi alla parete dove rifrangono luminosi, attraverso precise videoproiezioni, le numerazioni esoteriche, le combinazioni e i richiami alchemici già soggiacenti alla simbologia divina dell’opera dantesca.Virgilio invita Dante a proseguire in quella direzione, ora che può dirsi mondato dai mali spirituali di cui è stato (e noi con lui) testimone e portatore, guarito nell’anima, come un malato nel corpo, proprio nello spazio che per lungo tempo fu luogo di cura e ricovero per tanti.

Molti gli applausi per un rito scenico partecipato che mira a ricucire il dialogo con la memoria storica cittadina e che, pur ergendosi sulla ricchezza di una metafora teatrale a tratti difficile da decriptare, non perde la sua efficacia.

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