La recensione

PARADISO.UN PEZZO SACRO

DRAMMATURGIA E IMAGOTURGIA: Francesco Pititto

INSTALLAZIONE SITE-SPECIFIC, ELEMENTI PLASTICI, COSTUMI, REGIA: Maria Federica Maestri

MUSICA, INSTALLAZIONE SONORA: Andrea Azzali

MAESTRO DEL CORO: Gabriella Corsaro

CON: Ensemble di Lenz Fondazione e Associazione dei Cori Parmensi

PRODUZIONE: Lenz Fondazione

IN COLLABORAZIONE CON: Teatro Regio di Parma < Festival Verdi

Regala sensazioni contrastanti, mistiche ed inquiete, la seconda poderosa creazione site-specific di Lenz Fondazione dedicata alla Divina Commedia. Nel “Paradiso. Un pezzo sacro”, commissionato dal Teatro Regio per “Festival Verdi 2017” e allestito eccezionalmente all’interno della macro opera urbanistica del Ponte Nord (inaugurata nel 2012 ma subito interdetta alla cittadinanza per impedimenti legislativi), l’affascinante fruizione in itinere comporta un percorso di avvicinamento alla Grazia che non può esimersi dal luogo in cui si imprime teatralmente.

Lo spazio prescelto, dove intrecciare gli endecasillabi del Sommo Poeta e i versi cantati delle “Laudi alla Vergine Maria” di Giuseppe Verdi, rivendica la sua importanza e chiama a un’attenzione che ne disvela la funzionalità, proprio ai fini di quella simbolica ascesa ai Cieli: la costruzione che abitiamo, questo lungo e freddo tunnel di vetro e ferro, alto due piani, tuttora oggetto di grandi polemiche, è la testimonianza materica e significativa del limite umano da cui sollevarci, senza per questo rinnegarlo, ma appunto attraversandolo. E’ ingombrante, persistente, questa presenza architettonica, ha le sue regole strutturali da rispettare, seppur distorte, ma può abbracciare, come la nostra stessa corporea e imperfetta umanità, una visione, una luce, un percorso di redenzione e rinascita che qui si realizza sul piano estetico, artistico e, più ancora, culturale. E’ un ventre vuoto che può accogliere una nuova vita.

Così l’attraversamento spaziale si rifrange nella molteplicità di sguardi e percezioni individuali, soggettive, di coloro che anche solo temporaneamente possono abitarlo, assorbe richiami dal mondo esterno (i fari delle auto, le luci della città) ma ingloba e avvolge quella dimensione tutta terrena per trasferirla in un divino Altrove di sospensione spazio-temporale e pura contemplazione. Questo vale per il pubblico ma anche per i cinquanta artisti (tra perfomer “sensibili”, attrici storiche del Lenz e coriste dell’Associazione Cori Parmensi dirette da Gabriella Corsaro) chiamati a personificare Dante, Beatrice, la Vergine Maria, San Bernardo, le nove Sante, il Coro di voci in lode, e a disegnare una non facile partitura canora e performativa divisa in sequenze, sviluppate, perlopiù, in linea longitudinale nella prima parte (salvo nel canto dalla balconata che introduce Beatrice) e, poi, verticalmente, sui diversi livelli spaziali che conducono simbolicamente all’Empireo.

Il viaggio per il pubblico inizia nella semioscurità, inframmezzata da lampi d’immagini d’acqua che, proiettati sulle vetrate, sembrano ridare magicamente vita all’alveo in secca del torrente sottostante, nonché da fluttuazioni sonore che rendono ancora più enigmatico l’incontro con i tanti corpi scuri distesi a terra. Figure nere, avvolte in sacchi mortuari che svelano, alfine, un diverso significato: sono bozzoli pronti a schiudersi. Da quegli involucri sorge la Vita e la Parola che subito si libera nella bellezza di un canto verdiano, tutto al femminile, prima singolo e poi corale, in un crescendo di intonazione che è, ancora una volta, progredire verso l’alto. E’ il primo stadio della nascita che va, però, già anticipando una nuova trasformazione in quei corpi gravidi, bianco vestiti, da là lentamente emergenti.

Mistero della vita che si ripete, ignoto che sfugge alla comprensione intellettuale, tensione che si fa intuizione filosofica, al di là del linguaggio, tra opposte cromie di bianco e nero, luce e buio, armonia e dissonanza. E’ la visione di una donna generatrice, oltre l’identità biologica e anagrafica, a percorrere e a vivere il Paradiso. Verità illuminata che si avvalora nello scambio dialogico fra le due sole figure maschili in scena, non a caso indissolubilmente legate alla Donna, portatrice di salvazione: Dante, guidato da Beatrice e San Bernardo, cavaliere di Maria.

“Segui la luce che ti abbaglia” indica il santo a Dante che si avvia per la rampa di scale al piano superiore. Noi lo seguiamo, al Cielo delle sfere e delle Sante, dove “non c’è più spazio ma luce”, dove non transitiamo ma sediamo, predisposti ad una osservazione/meditazione diversa, davanti a un quadro che prende vita e forma nella danza estatica e rutilante delle Sante, in quei movimenti oscillanti, fluidi, sincronici, compiuti tra pozzanghere di liquido amniotico. Versi d’amore risuonano in quello spazio ed aprono a nuovi percorsi testuali, a segni e impressioni che si accompagnano ad immagini in dissolvenza evocatrici di nuovi cerchi di luce, frammenti visivi, quasi ecografici, di un umano che permea l’ultraterreno.

Da quello spazio illuminato a giorno si passa, infine, all’ultimo Cielo, pervaso dall’oscurità: Dante è al centro di un cerchio di angeli incappucciati, coro che intona, sempre nell’ascesa vocale, un ultimo canto alla Vergine, e che via via si disfa, si allontana da quel polo, seguendo un preciso disegno a spirale. I corpi si distaccano, uno di seguito all’altro; pensieri e voci sfumano, come risucchiate da una forza gravitazionale, concettualmente intuita e performativamente riflessa.

I fruscii dei costumi che abbandonano la sala, il ricordo della luce nelle parole di Dante, così come nell’incisiva, tondeggiante, proiezione imagoturgica sul fondale, e una trama sonora finale potentissima e misteriosa, chiudono tra echi e suggestioni lontane, vagamente fantascientifiche, un stupefacente, contemporaneo, cammino esperienziale. Sospeso, come un ponte, tra realtà e sacralità.

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