La recensione

NUIT

CREAZIONE COLLETTIVA di Nicolas Mathis, Julien Clément, Remi Darbois

CON LA PARTECIPAZIONE DI Gustaf Rosell

CONCEZIONE E REALIZZAZIONE SCENOGRAFICA Olivier Filipucci

PRODUZIONE Collectif Petit Travers (Francia)

 

Non è facile diventare amici del buio, addirittura considerarlo un effettivo compagno di giochi. L’oscurità spaventa e inquieta, nasconde ciò che percepiamo ma non vediamo, traduce inevitabilmente la nostra insicurezza di fronte all’ignoto e all’imprevisto. Eppure non sempre funziona così. Nello spazio notturno di una sala teatrale può compiersi anche un piccolo, poetico, incantevole miracolo di comunanza e sinergia fra il buio, chi lo attraversa fisicamente tentando di governarlo, e chi ne riceve meraviglia per le suggestioni che può risvegliare.

E’ quanto accaduto lo scorso weekend al Teatro al Parco nel doppio appuntamento (sabato in serale e domenica in pomeridiana) riservato alla pluripremiata compagnia francese Collectif Petit Travers e a quello che anche qui a Parma è stato salutato come un loro capolavoro di “giocoleria teatrale”: la creazione collettiva “Nuit”. Prima volta nella nostra città per questi giovani e abilissimi artisti-interpreti-giocolieri che non hanno deluso le aspettative: sia il pubblico adulto, sia quello infantile (molto più esigente) hanno gremito la sala del teatro in entrambe le occasioni e applaudito entusiasticamente.

Un coinvolgimento emotivo ingenerato da una originale coreografia di magie, di evocazioni visive e sonore, di fiammelle accese, virtuosismi, tracce da scoprire, geometrie da percorrere e trasgredire (gli attori in scena, noi mentalmente), in un convulso, eppure precisissimo, piano di entrate ed uscite improvvise, sorprendenti, insolite, in grado di comporre un quadro in perenne movimento. Come nel dormiveglia di un sogno da cui non ci si vuole allontanare o in cui si vuole dolcemente sprofondare, si accendono i suoni, prima ancora delle luci delle candele che illumineranno flebilmente gran parte dello spettacolo. Si ode un rumore, forse una palla che rimbalza, si intravedono ombre, contorni sfocati, figure che sfumano o scompaiono come inghiottite in quella dimensione notturna, rarefatta, misteriosa che non resta, tuttavia, del tutto impenetrabile.

E presto si anima, si rivela lentamente con l’arrivo dei tre giocolieri che predispongono meticolosamente alcuni elementi dello spazio scenico perimetrato in cui agiranno, svelandolo pian piano nella composizione oggettiva di un interno dagli arredi antichi. Una casa, certo, che evoca climi, usanze e atmosfere lontane, forse nordeuropee, ma che restano comunque impossibili da definire geograficamente e cronologicamente. La stanza non suggerisce nessuna contestualizzazione perché quello preparato dai tre misteriosi signori è uno spazio dell’Arte, un non-luogo sospeso tra realtà e fantasia, deputato al sogno, all’espressione di un immaginario delicato, ricco ed elegante, agli straordinari personaggi che lo abitano, alla bellezza di un’esperienza magica che comunica ed emoziona proprio nel suo mantenersi in perfetto equilibrio tra luci e penombre, tra rivelazione e dissimulazione.

E il gioco, primario strumento comunicativo per eccellenza, irrompe sul palco e lancia un metaforico guanto di sfida ai tre, investiti da decine di palline bianche che arrivano prima in solitaria, poi via via sempre più numerose, da ogni direzione, seguendo linee aeree ideali, come scagliate da una forza esterna oltre le quinte, oppure scivolando sull’assito, come animate di vita propria, o entrando velocemente dalle quattro porte laterali che aprono addirittura al pensiero di un terzo simbolico “mondo altro”. Presto si delinea il compito dei tre bravi interpreti: ristabilire l’ordine, difendersi da quella divertente, caotica e insolita invasione, ritrovare il silenzio (seppur non ci sia mai parola ma solo suoni e rumori) e il buio iniziali, domando con capacità, attenzione e maestria la giostra di movimenti che travolge la scena e gli occhi degli spettatori.

Nella raffinatezza dei volteggi ora presentati come assoli (con un singolo interprete a fronteggiare il moto spavaldo degli oggetti), ora resi nel difficile intreccio dinamico di tutte e tre le parti in campo, ritroviamo l’armonia di una vera e propria danza- felicemente sostenuta dalle struggenti, soffuse sonorità classiche di strumenti ad arco- dove Uomo e Materia restano opposti e complementari. Una sinfonia per lo sguardo di chi ha potuto apprezzarne tecnica, forme, costruzioni. Ma, soprattutto, una stupefacente poesia in musica e gesti per chi ha saputo abbandonarsi a quella magia scenica e al suo indomito flusso segreto.

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