La recensione

UNA STORIA SEMPLICE - IL CASO MORO 40 ANNI DOPO

DRAMMATURGIA: Matteo Bacchini

CON: Rocco Antonio Buccarello, Piergiorgio Gallicani, Simone Della Mura

(organizzazione laDitta)

PRODUZIONE: Teatro del Tempo

 

E’ doloroso accorgersi di come il Presente di una nazione troppo spesso dimentichi le ferite rimaste aperte del proprio Passato, siano state queste subite o inferte. Leggere i titoli di autorevoli giornali e non trovare più nell’oggi il giusto riscontro a fatti e avvenimenti fondanti la comune Memoria Storica, determina un cortocircuito tanto grottesco, quanto nefasto per il nostro senso civile. Ed è proprio là che apre lo spettacolo “Una storia semplice- il caso Moro 40 anni dopo”, nuova produzione del Teatro del Tempo, sullo sbigottimento di chi, sfogliando le pagine dei tabloid nel giorno del quarantesimo anniversario del sequestro Moro, resta travolto da notizie di piccolo cabotaggio e futili avvisi pubblicitari, prima di imbattersi in un semplice eppur preziosissimo accenno a quei fatti tragici del 1978.

Dalla lettura svogliata e disincantata delle notizie attuali, documentate e tristemente vere, prende il via l’attenta, intelligente ed equilibrata scrittura drammaturgica che Matteo Bacchini ha saputo costruire intorno alla vicenda storica, recuperando video e immagini di repertorio, affidandosi ad estratti processuali e deposizioni pubbliche di chi fu direttamente coinvolto nel “caso”, e imbastendo con estrema cura materiale così altamente infiammabile e controverso su un linguaggio di grande nitore e precisione, incisivo proprio perché affine al nostro quotidiano.

La bilanciata interpolazione, esente da retorica e buonismo, tra verità storica e composizione teatrale è il nervo di un lavoro che racconta molto più di quanto accadde nei giorni dopo il 16 marzo del 1978. Nell’essenzialità della messinscena si condensa il valore di questa narrazione a tre voci congiunte, declinata anche sul piano generazionale (con due attori maturi e di riconosciuta esperienza e un giovane, ma assai talentuoso, “quasi” esordiente) ed esplicata in una interpretazione corale coesa e altamente responsabile sia nella partecipazione emotiva che performativa.

Tra pause calibrate, ficcanti domande, improvvise accelerazioni e momenti carichi di amara ironia, si ritrovano, direttamente o indirettamente, i protagonisti di quegli anni: i rappresentanti delle due fazioni politiche, Democrazia Cristiana e Partito Comunista, la figura di Aldo Moro, uomo e statista, i brigatisti colpevoli ignominiosamente tornati in libertà, e l’italiano medio con quel suo spensierato gioco al pallone improvvisamente interrotto dalla messa in onda della notizia del rapimento.

La semplicità richiamata nel titolo è volutamente pervasiva del lavoro. Essa si traduce in una lineare, ma fortemente simbolica, geometria scenografica- con una fila ordinata di oggetti utili allo sviluppo narrativo posizionati sul fondo del palcoscenico e via via usati nel percorso d’indagine, e con alcuni giornali sparsi in un angolo dell’assito, tra bossoli di proiettili e una cartella in pelle, come a decretare, ancora una volta, la superficialità della notizia di fronte all’abominio del fatto storico- e così pure nella naturalezza della recitazione, che scevra da una affettazione estetico-virtuosistica, massimizza emozione e interesse per l’accadimento in essere, sia esso evocato come nei brevi ma esaustivi sunti drammaturgici della nascita dei partiti e delle Brigate Rosse, sia vivificato come nelle parole dello stesso Moro.

La struttura piana così concepita rifrange, però, subito contro una sofferta e determinante questione aperta. Una domanda atroce echeggia nello spazio scenico e funge da detonatore del flusso d’inquietudine latente ma ben percepibile, virando la prospettiva di sguardo verso il significato profondo, volutamente destabilizzante, della “semplicità” associata al caso Moro e svelando, a ragione, anche il personale punto di vista dell’autore: perché Moro ? Perché venne rapito e poi ucciso proprio lui, una brava e garbata persona prima ancora che un uomo politico?

Ecco che, se “l’inizio di questa storia è semplice” e così pure in parte la sua evoluzione, l’epilogo reale, insieme alle fasi immediatamente antecedenti e successive al rapimento, gravano del peso inspiegabile, tutt’ora incomprensibile, di una fitta e intricata sequenza di atti disumani compiuti dalle Brigate Rosse, nonchè di discutibili posizioni assunte dalle più alte cariche e istituzioni dello Stato. Risuona lo sdegno di fronte alla strage della scorta, con le immagini video dei telegiornali del tempo; cresce lo sgomento davanti alla ricostruzione della prigionia di Moro e del surreale, quanto incerto, tentativo di liberarlo; sale ancora la rabbia contro chi in fase di giudizio e condanna ribaltò le accuse e addirittura definì Moro “un criminale politico che agì contro il proletariato”.

La semplicità si scompone e si disperde tra il racconto e le immagini di quell’auspicato “compromesso storico” fra DC e PCI di cui Moro fu l’emblema, prima ancora che l’artefice, e che condusse, invece, a una tragedia umana, più che politica, e a una irrimediabile frattura nell’idea di Stato e Legalità. Il pregio immediato di questo spettacolo risiede proprio nell’autenticità dell’approccio alla materia, nella verità di sentimenti e intenzioni, ben oltre le note ufficiali e probanti, su cui l'autore muove per contribuire, pur senza presunzione, a ricucire i lembi di una memoria collettiva frammentaria, nebulosa, distratta, se non addirittura inconsapevole.

“Non è che agli italiani non interessa il caso Moro, è che hanno i loro problemi”, oggi come allora, verrebbe da aggiungere, ma questo è il rischio terroristico che corriamo maggiormente, quello di permettere alle banalità di una cattiva informazione di allentare le maglie del ricordo, di condurci all’oblio di fatti ineludibili della nostra Storia, segni indelebili, talvolta purtroppo indecifrabili come nel caso Moro, di cui dobbiamo, però, sempre tenere conto, farci portavoce e attivi testimoni.

“Bisogna vivere il tempo che ci è stato dato”: in queste parole finali, teatralmente consegnate alla figura di Moro, non possiamo non cogliere un vivo insegnamento e un monito artistico, non meno utile ed efficace, per riscattare la nostra flebile coscienza civile.    

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