La recensione

LA DONNA "GUERRIERA" DI TEATRO PITECO

DRAMMATURGIA E REGIA: Francesco Marchi

CON: Cristina Gianni

PRODUZIONE: Teatro Piteco

E’ un lavoro avvincente e già maturo, compiutamente strutturato e dall’ironia tagliente come una lama, ben assemblato in tutte le sue componenti (testuali, performative e registiche) l’opera prima (così intesa poiché inserita nella stagione ufficiale di prosa) del giovane drammaturgo parmigiano Francesco Marchi.

“Guerriera”, questo il titolo dello spettacolo, ha debuttato sabato 2 dicembre e ha “combattuto” sul palco del Teatro Europa con vigore e versatilità, con passione e carisma, con determinazione e competenza, traducendosi nel talento puro di Cristina Gianni, assoluta e meravigliosa interprete. Un tema spinoso e controverso quello che una scrittura drammaturgica di grande sensibilità e acutezza ha messo efficacemente in luce: il sospetto, reale o solo latente, della violenza psicologica, alimentata da persistenti stereotipi sessisti, che può compromettere una relazione di coppia e minare la stessa integrità identitaria della donna.

L’originalità della soluzione teatrale sta nel veicolare un fiume carsico di inquietudine e tormento interiore attraverso la sola figura di Lei, la conciliante protagonista Vittoria, travolta da un improbabile dialogo/monologo con la propria controparte più ribelle e selvaggia, la guerriera amazzone Asteria che in continui, ripetuti momenti prende possesso della sua mente, del suo parlato e delle sue azioni. E’ una schizofrenica e tragicomica intermittenza di voci e registri, tra compressioni e dilatazioni, sussulti e affondi, incertezze e tumulti- sempre precisamente consegnati alla bravura della Gianni che domina vocalmente e fisicamente, in una sorta di coreografia danzata dei movimenti, i cambi repentini di personalità- quella che s’ingenera e che conduce all’effetto ricercato: confondere il punto di vista, sfocare le certezze, disordinare le idee, imbrogliare i piani di visione del personaggio, in primis, ma così pure del pubblico convenuto. Perché lo spettacolo gioca sul condizionale di ciò che potrebbe essere stato (la scena si apre su Vittoria che raccoglie i vetri di un bicchiere rotto) e di ciò che potrebbe accadere in futuro, nell’ansia forte, incontrollata, che Lui possa bere ancora lungo la strada verso casa, ma anche nella lucidità che la protagonista tenterà di recuperare e ritrasmettere grazie al coraggio e alla forza del suo Es guerriero.

Ma contro cosa o chi si può combattere quando le azioni sono solo evocate e mai conclamate, quando le intenzioni, anche le più feroci, si esprimono in una voce fuori campo, quella maschile, che resta sospesa, non è ancora presenza fisica eppure già oppressiva, quando umiliazioni e pregiudizi non vengono dichiarati apertamente ma solo suggeriti, restano sottesi, vibrano come pensieri in libertà, forse casualmente registrati da una segreteria telefonica ? La sottile minaccia percepita che s’insinua sin dalle prime battute- negli interstizi silenziosi e solitari tra le telefonate con le amiche, con cui rinuncerà a trascorrere la serata, e lo scambio convulso di messaggi col compagno, prima arrendevoli poi in un crescendo di sfida - è concreta o solo immaginata, magari espressione di un malcontento personale legato alla frustrazione professionale ?

E’ nell' agguerrita lotta interiore, nel flusso di coscienza a due voci congiunte e disgiunte, mosso, non a caso, nella solitudine amara e desolata della camera da letto, in quella battaglia condotta intimamente, senza riserve e senza esclusione di colpi, nemmeno quando si realizza in una bizzarra partita a scacchi idealmente giocata contro un malevolo pensiero maschile, che vanno via via ad aprirsi squarci di verità inoppugnabile (“Bisogna essere concreti e tu riesci a malapena a muovere la scacchiera!” grida Asteria). Vittoria deve affrontare se stessa e le sue paure, il suo stato di rassegnazione e la sua impotenza, prima di riuscire a fronteggiare il rischio dell’Altro, prima di comprendere fino in fondo il senso autentico di una relazione, nonchè le sue più intime aspirazioni, e raggiungere una consapevolezza tanto dolorosa quanto necessaria, affinchè il suo Io possa ricomporsi (e non restare in frantumi come il bicchiere iniziale). 

Un atto di coscienza imprescindibile dalla propria condizione e dignità di essere umano che, alfine, abbraccia anche lo spettatore, assumendo alito di vita universale nella trama preziosa e lodevole di immagini, suggestioni e parole in cui il contemporaneo, con le proprie riconoscibili consuetudini (l’uso smodato del cellulare per comunicare con il mondo esterno, ad esempio) e il proprio linguaggio prosaico, va intrecciandosi al mito classico (alle figure di Eracle e della regina delle Amazzoni) e al verso aulico, così costitutivo e integrante la funzionalità esemplare della messinscena. Asteria, simulacro psicologico del carattere femminile indomito e battagliero, è, infatti, “figlia delle parole”, cuore sicuro e fiero, frutto degli approfonditi studi umanistici compiuti da Vittoria, giovane professoressa di Lettere Antiche. L’anima guerriera costringe la sua docile ospite a rispecchiarsi in quelle gesta epiche imparate sui libri - quest’ultimi comporranno anche matericamente degli interessanti disegni scenografici- a riconoscersi nel vivo orgoglio di una cacciatrice leggendaria, sprezzante del pericolo, aderente a un proprio ferreo e rigoroso codice, ed emblema di quel Femminino ante litteram che respinge ogni incondizionata forma d’identificazione nei clichè maschilisti.

E’, dunque, la Cultura, introiettata e poi vivificata nel personaggio dell’amazzone, a fomentare la vera rivolta, a scuotere la mente e il cuore della protagonista, a spingerla ad intraprendere una via di libertà (“Dimostrami di essere libera e non schiava” chiede Asteria), dove poter ritrovare se stessa. Oltre i condizionamenti sociali di amici e parenti (“Tutti adorano lui”), al di là del puro immaginario evocato nella sua mente, superando tenacemente e convintamente le costrizioni di una relazione debole e malata che in nuce già reca un epilogo di violenza fisica. Una guerra di resilienza dove non ci siano più vittime nè carnefici.

Un vero tripudio di applausi, entusiastici e prolungati, ha salutato, infine, questo bel lavoro, che ci auguriamo sinceramente sappia ricevere anche altrove, e per molto tempo ancora, l’attenzione e il successo che merita.

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