L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

DANIELE ALBANESE: "VON: IL MIO MANIFESTO IN DANZA"

Sarà il coreografo e danzatore parmigiano Daniele Albanese, tra i più seguiti e apprezzati nell’attuale panorama della danza d’autore, il protagonista del prossimo appuntamento serale al Teatro al Parco: sabato 16 dicembre alle 21, nell’ambito della rassegna del Teatro delle Briciole “Serata al Parco- Proposte di Teatro Contemporaneo”, verrà presentato il suo ultimo lavoro “Von”, frutto di un periodo di residenza al teatro cittadino ospitante e coprodotto da una rete di importanti partners internazionali. Con lui, in scena, Marta Ciappina e Giulio Petrucci, a dare vita a un intenso spettacolo di danza che, dopo l’applaudito debutto al Festival “Les Hivernales” di Avignone, ha già riscosso lusinghieri consensi di critica e pubblico nelle più recenti tappe italiane. Quella di sabato sarà anche l’interessante occasione per approfondire un discorso artistico più complesso e articolato: dopo lo spettacolo, infatti, la studiosa di audiovisivi Jennifer Malvezzi dell’Università di Parma incontrerà Albanese in un dialogo incentrato sul rapporto trasversale tra danza e immagini in movimento, aperto alla partecipazione degli spettatori.

Quali sono le istanze di ricerca della Compagnia Stalker di cui è il fondatore e che ha sede proprio qui a Parma? “Sono quelle che derivano dalla mia formazione di danzatore: io ho compiuto i miei studi in Olanda con insegnanti che erano esponenti della “scuola americana” improntata alla sperimentazione, a una approfondita ricerca sul movimento. Da quella metodologia artistica sono poi partito per muovermi in un mio preciso campo di ricerca: quello che maggiormente mi interessa è la trasformazione del corpo sulla scena. Penso la danza come un flusso continuo di presenze che cambiano, mutano, in relazione al corpo del danzatore.” 

Come definirebbe la Sua danza? “Direi che è una danza che mette in contrapposizione e, al tempo stesso, in dialogo, l’intensità e la meccanica del corpo. Due poli opposti, eppure a confronto, in una relazione fra chiarezza espositiva e ipnosi performativa. E’ una danza che si compone come un linguaggio di sintesi.”

Qual è stato il processo creativo che ha condotto a questo spettacolo e perché la scelta di questo titolo “Von”, una particella grammaticale tedesca che traduce il “da” italiano? “Il processo è stato lunghisssimo ed è iniziato più di due anni fa. All’inizio uno non conosce esattamente la forma che prenderà il lavoro. Ho iniziato a fare delle ricerche su questa idea di flusso e di costante shift fra frammenti di personaggi, sorta di fantasmi, apparizioni danzate, e ho cercato delle strutture compositive per farli emergere in una dimensione di senso. Definerei “Von” un' indagine su come il corpo subisce un insieme di forze esterne. C’è, ovviamente, molto forte una idea di tempo e di circolarità che regola questa trasformazione. Il titolo, invece, è stata l’ultima cosa che ho scelto: è una preposizione che rimanda a un luogo ma è un altrove sconosciuto in cui cerchiamo di entrare. Troviamo anche un riferimento a “Stalker” il film di Andrej Tarkovskij dove c’è l’ospite che conduce in una zona particolare, in un luogo metallico e oscuro. Allo stesso modo, in questo lavoro accompagniamo il pubblico in un non-luogo e lo facciamo in modo ipnotico, avvolgente. Inoltre, mi piaceva la parola in sé, non solo il suono netto ma anche il tratto grafico: lo spettacolo è molto “quadrato”, pieno di linearità. Come le lettere della parola “von” si compone di linee e al centro c’è un punto di unione, quella “o” che richiama a qualcosa di ciclico.”

Sul piano puramente tecnico e coreografico, quali sono i caratteri distintivi di questo lavoro? “E’ stato un lavoro conclusivo rispetto a un lungo percorso di ricerca, maturato ed elaborato con i danzatori, i musicisti, i light designer, i tecnici. Insieme abbiamo voluto focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti. Rispetto ai miei lavori precedenti potrei considerarlo come una sintesi di tante ricerche. Una specie di piccolo manifesto, confluito in uno spettacolo anche grazie alle preziose collaborazioni instaurate. L’intenzione iniziale era di creare un progetto coinvolgente, pur nel suo rigore”.

Chi sono i protagonisti semantici di “Von” ? “ Più che parlare di protagonisti, di temi definibili, mi piace richiamarmi a quell’espressione che si usa in astrofisica di “orizzonte degli eventi”, quella zona immaginaria di confine e di passaggio fra ciò che è chiaro e ciò che è oscuro, fra ciò che possiamo vedere e ciò che non possiamo vedere . Quello che a me ha sempre interessato è il processo creativo nella sua essenza, un processo che si sviluppa anche nel momento in cui lo si presenta al pubblico. In fondo, nella ricerca artistica studiamo quanto percepiamo attorno a un buco nero di possibilità infinite, su quella linea di confine tra ciò che conosciamo e ciò che ci sfugge. Poi, va pur detto, che l’idea di “confine” è, oggigiorno, molto attuale, in tutte le sue molteplici accezioni. Resta il fatto che il nostro approccio è più filosofico e la comprensione di un lavoro inteso così, stratificato sia sul piano concettuale che emotivo, dipende molto dalla soggettività di chi lo osserva. Quello che ci proponiamo di fare è permettere un accesso a un territorio di associazioni. La bellezza della danza è proprio questa: è la sua indefinitezza, il mistero che permane nella forma che si muove. Questo vale anche a livello tecnico: posso ripetere uno spettacolo decine di volte, nella sua composizione originaria ma resta sempre qualcosa di mobile, suscettibile di continue mutazioni.”

Lei stesso ha definito “Von” una partitura coreografica complessa, addirittura oscura. In che modo saprà conquistare il pubblico ? “Nelle sue varie tappe lo spettacolo è stato accolto molto bene perché lavora su una idea di forza magnetica. E’ un lavoro che sa catturare. Non importa se qualcosa sfugge alla comprensione perché quando si resta avvinti, ipnotizzati, ecco che si raggiunge l’efficacia comunicativa di un lavoro teatrale”

Come vede Lei, dal punto di vista di chi ha a lungo collaborato con realtà estere, lo stato della danza contemporanea nazionale? “ Credo che in Italia ci siano artisti molto bravi e strutture molto efficienti. Ciononostante, nel suo complesso, il “sistema danza italiano” manca in qualcosa. Rispetto al resto d’ Europa, dove si viaggia a tante velocità diverse, è lentissimo. In molti casi c’è forse più paura di rischiare su idee estetiche e progettualità innovative”

I Suoi progetti futuri ? “Sto già lavorando a un’idea molto bella che dovrebbe essere presentata a maggio, qui a Parma, nel corso della rassegna di danza contemporanea “May Day”: si tratta di un duo danzato, dove sarò protagonista insieme a una mia ex insegnante, oltre che grande interprete delle coreografie di Trisha Brown. E’ un lavoro che verterà sull’idea della migrazione, in questo caso degli animali, degli stormi e, quindi, toccherà ancora l’idea di confine anche se in maniera più leggera, aerea. Inoltre, sto cercando di creare un gruppo mobile di lavoro con professionisti di settore per cercare di sviluppare un processo di ricerca collettiva che possa aprire in futuro anche nuove potenzialità di approdi scenici”

Nel sito della Sua Compagnia (https://compagniastalker.com/) ho letto questa bella citazione di Kafka: “Un libro deve essere l’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi”. E’ una metafora che applicherebbe anche alla danza? “ Sì, è così. Ogni forma d’arte, dalla letteratura alla danza, ha il potere di aprire dei varchi dentro di noi, delle brecce in cui poter scorgere nuovi orizzonti, e credo che la citazione sia assolutamente pertinente a questo spettacolo in particolare.”

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