L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

RICHARD KALINOSKI: "UNA BESTIA SULLA LUNA" PARLA DI SALVEZZA"

Il primo appuntamento di prosa del 2018 al Teatro Due ha le caratteristiche proprie dell’evento: una nuova, importante produzione frutto degli sforzi condivisi da due tra le più attive realtà teatrali nazionali, Fondazione Teatro Due, appunto, e il CTB Centro Teatrale Bresciano; una compagnia artistica di indiscussa eccellenza, sia sul piano performativo (Elisabetta Pozzi, Alberto Mancioppi, Fulvio Pepe e Luigi Bignone) che su quello prettamente tecnico-compositivo (la regia di Andrea Chiodi, le scene di Matteo Patrucco, l’impianto luci e video di Cesare Agoni, i costumi di Ilaria Ariemme e il disegno musicale di Daniele D’Angelo), chiamata a vivificare, per la prima volta in italiano (nella versione a cura di Beppe Chierici) uno dei testi drammaturgici più tradotti al mondo (in ben 20 lingue); opera scritta dal drammaturgo americano Richard Kalinoski, vincitore di cinque premi Molière in Francia e di tanti altri prestigiosi riconoscimenti, che proprio il giorno della prima parmigiana, il 16 gennaio, sarà ospite a Teatro Due per un incontro con il pubblico, alle ore 17.30. Ci riferiamo, ovviamente, allo spettacolo “Una bestia sulla luna” che andrà in scena dal 16 al 24 gennaio alle 20.30 (il 21 gennaio alle ore 16), dopo il successo del debutto nazionale pochi mesi fa a Brescia, e che già da queste premesse si conferma, dunque, come tra i più interessanti della stagione. Un lavoro teatrale che mira ad indagare, attraverso la storia di un complessa e delicata relazione matrimoniale, temi ben più spinosi e tragici, quali l’esilio, l’integrazione, la Memoria storica di una comunità, e sullo sfondo, imprescindibile e determinante all’evolversi della vicenda, un atroce fatto reale di cui troppo poco si parla: il genocidio del popolo armeno negli anni della Prima Guerra Mondiale. Del piccolo ma significativo patrimonio culturale che anche un’opera teatrale può conservare e ritrasmettere, ne abbiamo parlato con lo stesso autore Kalinoski, profondo conoscitore della cultura armena, oltre che drammaturgo di fama internazionale.

Qual è stata la Sua personale fonte d’ispirazione per questo testo e su cosa ha impostato la Sua ricerca?

“Sono stato sposato con una donna americana di origine armena. Era la nipote di nativi Armeni che avevano perso i propri cari proprio durante lo sterminio perpetrato dai Turchi ottomani nel periodo della Prima Guerra Mondiale. E’ stato durante quelle nostre conversazioni che ho tratto le prime idee, anche per la creazione dei personaggi. Diciamo che la mia ricerca si è fondata molto sui racconti orali di chi, direttamente o indirettamente, ha vissuto quel momento storico terribile.”    

Perché la scelta di questo titolo simbolico?

“Il titolo prende spunto da un aneddoto: esso racconta dell’idiozia di alcuni Turchi che ritenevano di poter sparare e uccidere “la bestia sulla luna”, ovvero la parte di superficie lunare oscurata da una eclisse, fatto che accadde veramente attorno il 1895. Un comportamento così stupido come sparare alla “bestia sulla luna” richiama l’ignoranza di quelle persone selvagge e arroganti che, in ogni epoca e in ogni nazione, pensano di potere uccidere degli innocenti.”  

L’olocausto armeno è la grande tragedia che riaffiora dal passato personale dei due coniugi protagonisti, Aram e Seta, e con cui essi devono in qualche modo fare i conti. Ma quali attuali e altrettanto urgenti tematiche schiude questa particolare prospettiva di visione?

“Sono perfettamente cosciente della battaglia per la vita che anche i rifugiati di oggi sono costretti a combattere: penso a coloro che, in Siria, ad esempio, devono lottare per la sopravvivenza, per un ideale di libertà e umana dignità, muovendosi tra distruzione e rovine (cosa che colpisce anche altri paesi del Medio Oriente). Queste persone senza patria, molte delle quali muoiono di fame e stenti, sono di certo meno fortunate di Aram e Seta. Questi ultimi hanno ritrovato nuove occasioni e opportunità in America. Mi ferisce profondamente, invece, vedere come molti rifugiati attualmente bisognosi di aiuto vengano lasciati da soli, abbandonati a vagare senza nessun sostegno, resi più vulnerabili, quindi, ad ogni tipo di sfruttamento, avversità e ostilità. A differenza delle tragedie umanitarie che oggi leggiamo sui giornali, Seta e Aram sono esempi di persone che hanno avuto la possibilità di creare e perseguire un obiettivo d’integrazione: grazie al talento di Aram come fotografo hanno potuto guadagnare una propria posizione, ottenere un riconoscimento sociale, inserendosi nel sistema meritocratico di una società fortemente capitalista come quella americana .”

Può la relazione conflittuale tra un uomo e una donna diventare paradigmatica di quell’ideale legame tra passato e futuro, tradizione e novità?

“Sia Seta che Vincent, il ragazzo orfano che verrà accolto dai due, nonché il narratore di tutta la storia, si impegnano da subito, con tenacia, per orientarsi a un futuro di rinascita, si sforzano di aprirsi all’accoglienza e alla speranza. Aram, al contrario, quale polo opposto di Seta, si aggrappa al passato, conserva in una specie di santuario la foto della famiglia massacrata e genera, così, con la moglie uno scontro inevitabile. Egli vuole recuperare quello che non è più recuperabile, ricucire quella ferita che non si può sanare. Quello che Seta fa per aiutare il marito è rischioso e un esito positivo non è del tutto sicuro. Ma lei giustamente persevera in quella direzione che volge al domani, e poco importa se lui indugia, esita, continuando nel suo inutile tentativo di restare ancorato al passato. Alla fine, Aram, imparerà ad amare, abbraccerà il suo prossimo e supererà quella sterile riluttanza. E’ un messaggio di salvezza e di vita molto forte quello che la vicenda vuole comunicare.”

Una piéce che, malgrado i tragici fatti storici da cui muove, è attraversata anche da una sottile ironia, molto amara, carica di umana verità, oltre che sorretta da un grande ritmo dialogico. Lei crede che il linguaggio possa di per sé già svelare una volontà di riscatto e rappresentare uno strumento di salvezza?

“Di certo è un veicolo di emozioni, sentimenti, intenzioni e, quindi, di umanità. Però, vorrei aggiungere questo, parlando di linguaggio: Seta e Aram devono imparare un’altra lingua, in questo caso l’inglese, per potersi integrare nell’America del tempo. Non c’è dubbio che la lingua sia fondamentale ai fini di un’accettazione culturale e, quindi, utile per una propria ridefinizione identitaria. Ma, se pensiamo ad Aram, ad esempio, alla fine la sua ricerca di pace, il suo desiderio di rinascita, si realizzano grazie alla determinazione della moglie, alla forza dei suoi sentimenti, e conta meno il registro linguistico che le trasmette.”  

Crede, quindi, che l’unico modo veramente saggio di preservare la propria Memoria storica senza cadere in atteggiamenti ossessivi, come quello iniziale di Aram, sia quello di condividere con l’Altro le proprie esperienze e aprirsi a un mutuo scambio di sostegno e affetto ?

“E’ triste ammetterlo ma molte persone sono incapaci di percorrere una strada di aperta e reale condivisione con l’Altro. Ho scritto anche un testo in merito all’argomento che parla di una donna soldato affetta da un disturbo di stress post traumatico e della sua continua lotta per ritrovare la capacità di accettare l’Altro e condividere. L’amore per il prossimo in “Una bestia sulla luna” è, invece, una proiezione ottimistica che provo a mostrare come reale e possibile, anche se qui solo teatralmente rappresentata, e questo nonostante molti possano ritenerla improbabile, inverosimile. Personalmente ho incontrato tanti rifugiati Armeni durante le mie ricerche compiute per questa scrittura drammaturgica e ho conosciuto anime generose proprio come Seta.”

Come spiega lo straordinario successo che questa Sua pièce ha ottenuto in tutto il mondo ?

“Troppe ragioni diverse possono averlo determinato. Il successo europeo si lega molto al fatto che in numerosi paesi è radicato e vivo il tema della Memoria e dell’esilio, così come quello delle migrazioni di popoli, e degli scontri che spesso sono sfociati in persecuzioni e stermini di massa. Ma negli Stati Uniti e in Sud America, ad esempio, e così pure, va detto, in alcuni paesi europei, il testo è stato letto e interpretato in una luce anche diversa, più incentrata sul conflitto e l’iniziale indifferenza in seno a un matrimonio particolare. E’ la grande forza di volontà che porta, infine, a superare esperienze dolorose, a perdonare, a donarsi, a scoprire un reciproco rispetto e un sentimento d’amore che sembra impossibile e che invece, malgrado le difficoltà, sa davvero vincere su tutto. Perché rispetto e amore sono sempre indissolubilmente legati fra loro, in ogni rapporto fra esseri umani”.

SERENA BALIVO: "L'INFERNO E LA FANCIULLA: UN VIAGGIO ONIRICO VERSO L' ADULTITA'"

a cura di Francesca Ferrari

È un talento luminoso, solido e cristallino come un diamante, quello dell’attrice Serena Balivo, già vincitrice del Premio Nazionale Giovani Realtà del Teatro nel 2011 e del P...

COMPAGNIA RODISIO:"IL LUPO E LA CAPRA", DUE RIBELLI COME NOI"

a cura di Francesca Ferrari

Sarà una storica compagnia parmigiana, tra le più affermate e applaudite sia in Italia che all’estero, ad inaugurare ufficialmente la programmazione pomeridiana del Teatro di F...

MARIO MASCITELLI E MARIO AROLDI:"DON & SANCIO A QUATTRO MANI"

a cura di Francesca Ferrari

Donatello, per tutti Don, e Sandro, per tutti Sancio. Sono loro i protagonisti del nuovo spettacolo targato TDC che debutterà domenica 3 novembre alle 17, nell’ambito della tred...

Torna indietro