La recensione

IL VIAGGIO ESISTENZIALE DI "IMPROVVISAMENTE ALICE"

DI E CON: Giulia Canali

REGIA IN COLLABORAZIONE CON: Franca Tragni

LUCI: Lucia Manghi

MUSICHE: Patrizia Mattioli

COPRODUZIONE: Europa Teatri

Vive della freschezza e dell’entusiasmo della sua interprete questo “Improvvisamente Alice”, spettacolo della giovane e dotata artista parmigiana Giulia Canali, che è stato riproposto sabato 13 gennaio al Teatro Europa dopo il buon successo ottenuto al debutto nella passata stagione.

Protagonista assoluta è Camilla, una ragazza come tante, sorta di paradigma generazionale di un tempo contemporaneo asfittico trascorso per lo più tra dubbi, domande, esitazioni, slanci e qualche ricordo familiare che prende, però, la forma del sogno, della visione, del vagheggiamento, attraversato da figure sfocate e voci confuse dei fantastici personaggi della fiaba di “Alice nel paese delle meraviglie”. Camilla è pronta per un viaggio che la condurrà ben oltre la destinazione fisica (la Puglia e Leuca, luogo della memoria caro al nonno), in una dimensione più profonda e intima, attinente alla sua maturità interiore, alla presa di consapevolezza dei suoi bisogni, dei suoi desideri e delle sue aspirazioni.

Ed è in una ipotetica stazione che transitano i pensieri di Alice, o sarebbe meglio dire si fermano per una lunga sosta di obbligata e meditata riflessione, contingenza spiacevole data da un improvviso guasto al treno che si rivela, alfine, provvidenziale per recuperare il tempo necessario all’ascolto di Sé. Lei è lì, sola, con il suo grosso zaino in spalla, timorosa persino di sedersi per paura della sporcizia che potrebbe contaminarla (“la stazione è luogo di tutti e di nessuno”, troppa vita sconosciuta la abita), protetta e al tempo stesso imprigionata nel quadrato scenico costruito da alcuni cubi e una striscia di nastro giallo, perimetro di azione e linea immaginaria da non oltrepassare all’arrivo dei treni. Resta lì e guarda il pubblico, interagisce con esso, aprendo piccoli varchi di metateatralità (forse un po’ superflui ai fini della storia), ma soprattutto si abbandona al flusso di coscienza che costruisce l’intera struttura drammaturgica.

La scrittura tradisce, va detto, una certa ingenuità di composizione, e la storia non riesce mai del tutto ad addensarsi in una vera sostanza teatrale a cui riconoscere un carattere di universalità, una pregnanza di significati, perseguendo invece una idea di leggerezza piacevole, sognante, da favola ironica, che a tratti, però, si sperde in una rischiosa superficialità. Ciononostante, il vivace, smagliante talento attoriale della Canali sa catturare l’attenzione, mantiene un ritmo acceso e dinamico, vivifica il racconto in essere, supportata da un disegno luci funzionale e da un preciso impianto sonoro. Nella narrazione sincopata, restituita attivamente sia nella mimica, in una coreografia puntuale di piccoli gesti e passaggi di movimento, sia nella padronanza di una bella, nitida vocalità e ricchezza di accenti performativi, si colgono i maggiori pregi di questo lavoro.

E così i rovelli che tormentano la protagonista acquisiscono un senso altro (e alto): se quella noia che ci prende quando attendiamo qualcosa o qualcuno, quando scorriamo con il “ditino” le notizie sul telefono, non fosse vita nostra ma un’altra vita ? Chi siamo e cosa siamo ? Dove stiamo andando ? Cosa stiamo cercando veramente ? Brulica delle domande della gente, questa stazione in mezzo al nulla, e sono proprio quelle domande a tracciare la direzione di un viaggio tutto esistenziale, quasi rappresentasse una prova d’iniziazione. Se un ricordo riaffiora e sembra suggerire il motivo della partenza (c’è un aquilone del nonno da recuperare a Leuca o magari, solo idealmente, da fare volare un’altra volta…) è per infondere coraggio, per sostenere, nella concretezza dei più autentici legami affettivi, una esplorazione interiore e personale ormai ineludibile.

Le proiezioni dei personaggi fiabeschi, il Coniglio Bianco, il Brucaliffo, il Gatto, il Cappellaio Matto, contrappuntano, dunque, soltanto, sul piano immaginario, le riserve reali, il groviglio di incertezze, la gamma di sensazioni di chi, come Camilla, è alla ricerca di Sé. Ecco perché “quando ti metti in viaggio devi augurarti che la strada sia sempre lunga”, come cita una battuta chiave dello spettacolo: una personalità avviata su un cammino di scoperta e crescita non può e non deve mai ritenersi paga.

Molti gli applausi dei tanti spettatori, adulti e bambini, presenti per un lavoro in cui, pur trapelando un indubbio impegno creativo generale, domina la bravura dell'interprete protagonista.

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