La recensione

"DIALOGHI DEGLI DEI": TRA MITO E UMANITA'

DRAMMATURGIA E REGIA: I Sacchi di Sabbia e Massimiliano Civica

CON: Gabriele Carli, Giulia Gallo, Giovanni Guerrieri, Enzo Iliano, Giulia Solano

PRODUZIONE: Compagnia Lombardi-Tiezzi

 

E’ una “interrogazione a sorpresa” annunciata da una insegnante tanto meticolosa, quanto faziosa, ad introdurre i “Dialoghi degli Dei”, di cui al titolo del divertente spettacolo presentato al Teatro al Parco e salutato dal pubblico con tanti applausi e sorrisi.

La scena riproduce, infatti, nel suo minimalismo di un banco, una cattedra e poche sedie opportunamente collocate a ricreare una triangolazione comunicativa, quello che avviene, potremmo dire da sempre, in un’aula scolastica: una severa e imperturbabile professoressa scorre il registro e si accinge ad interrogare con solerzia due malcapitati studenti, in divisa da collegiale, seduti a un banco, al lato opposto della scena. Al centro, sia materialmente sul palco, che idealmente, quale immediata traduzione visiva dell’argomento principe su cui verterà l’esame orale, due figure in tunica candida e coroncine dorate, a personificare i diversi protagonisti della cosmogonia classica.

Ed è su un rimpallo incalzante di domande e risposte, di battute al fulmicotone, direttamente vivificate dagli abitanti dell’Olimpo, ed estrapolate intelligentemente dall’antico divertissement letterario di Luciano di Samosata, che si erge la struttura semplice ma estremamente dissacratoria dello spettacolo, dove l’ironia acuta e ficcante de I Sacchi di Sabbia trova sostegno e nitore nella più rigorosa cifra registica di Massimiliano Civica.

Prende da lì avvio una indagine didattico-teatrale sul mito condotta per sketch di grande leggerezza e comicità, ma al tempo stesso significativi nel richiamare facilmente a questioni del nostro tempo presente. Una carrellata allegra e agile di storie raccontate e ritrasmesse in tutta la loro colorata umanità che è anche attualità, verità di senso veicolata da una sferzante arguzia quasi totalmente affidata alla parola, alla esuberanza di un continuo scambio dialogico, senza interruzione o sospensione, solo inframezzata da brevi canti di origine popolare, e dove la mimica diventa pura espressione del pensiero già enunciato o evocato verbalmente.

Sulla cadenza dei voti assegnati molto spesso ingiustamente (sempre due all’alunno Carbone, sempre otto al compagno Parrotto) scorrono le più note vicende sentimentali, le malefatte e le goliardate di Zeus, Era, Ganimede, Apollo, Poseidone, Ermes, Eros, Afrodite che nei loro discorsi di intrattenimento si rivelano molto più affini all’Uomo (e quindi anche a noi contemporanei), che non incommensurabili divinità di un tempo passato.

E’ in questi dialoghi, tra l’umano e il divino, che si innesca la comicità più irriverente: il padre degli dei parla con accento pisano, la vita coniugale tra Zeus ed Era soffre della stessa reciproca indifferenza comune a troppi mortali, la “paideia”, modello educativo nell’Atene classica, qui più volte tirato in causa, suscita anche una divertita perplessità nella sua esemplarità troppo “moderna”.

La formula teatrale e performativa è essenziale e proprio per questo funziona, per quell’ironia intelligente e mai eccessiva che riesce ad aprire una via comunicativa facile ma non per questo superficiale. Si sorride della natura divina, quale rappresentazione archetipica di quella umana, ed essa si fa pretesto arguto per riflettere anche sul mondo della scuola, sul sistema pedagogico e, perché no, sulla creazione teatrale “tout court”: quella ideata in scena è, infatti, una vera e propria lezione di teatro, con due figure che interpretano di volta in volta divinità differenti, sotto l’egida registica di una insegnante e di fronte a un pubblico “primario” composto dai due allievi.

E allora si sorride anche di quelle nozioni che potrebbero inficiare l’atto creativo (“Come sei stanislavskjiano” accusa l’interprete di Era, rivolgendosi a Carbone che contesta il continuo cambio dei ruoli “divini”) e si abbraccia, alfine, con maggiore comprensione e allegra comunione il significato della battuta rievocata nel finale: “il teatro è fantasia”. E uno strumento molto utile per tenere acceso il pensiero.         

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