L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

ECO DI FONDO: "Ne "La Sirenetta" raccontiamo l'accettazione di sè"

Tra i gruppi teatrali della nuova generazione merita senz’altro un’attenzione particolare la compagnia lombarda “Eco di Fondo”, fondata nel 2009 da Giacomo Ferraù e Giulia Viana, due giovani attori diplomatisi all’Accademia dei Filodrammatici di Milano che in questi anni- e fin dalle loro prime produzioni, molte delle quali insignite di premi e menzioni- si sono distinti non solo per competenza e maturità, ma anche per una non comune generosità e intensità recitativa. Ferraù e Viana porteranno (insieme a Riccardo Buffonini e Libero Stelluti) energia e sensibilità sulla scena del Teatro del Cerchio, sabato 24 febbraio alle 21.00, presentando uno dei loro più recenti e applauditi lavori, “La Sirenetta”, spettacolo di cui molto si è parlato e scritto sia per le complesse tematiche che intende esplorare, sia per la particolare cifra stilistica prescelta allo scopo.

“Eco di fondo”: verrebbe da dire che c’è già all’origine una sottile allusione alle atmosfere de “La Sirenetta”. Perché la scelta di un nome così evocativo che rimanda a qualcosa di impalpabile, ma al tempo stesso costante e profondo?

FERRAU’ “La scelta del nome è sempre un momento delicato. È come decidere il nome del proprio figlio. Il nome rappresenta e riassume, in parte, quello che vuoi esprimere e lo decidi nel momento in cui pensi a cosa vuoi essere. È, quindi, di per sé già molto emozionante. Per quanto riguarda noi, l’idea è stata questa: la radiazione cosmica di fondo, che in gergo non tecnico viene semplificata in “eco di fondo”, è un’eco rimasta nell’universo dopo il big bang. E’ la traccia sensibile che, da qualche parte, all’inizio dei tempi, c’è stato un evento di una densità talmente alta che ha provocato tutta la bellezza che vediamo intorno. È il mistero della bellezza, tema su cui anche il teatro s’interroga da sempre. Il teatro permette allo spettatore di assistere, in un tempo microscopico della sua vita, a un avvenimento ad alta densità; quello che poi si va a misurare è quell’eco che rimane nell’animo di chi ha assistito allo spettacolo. La bellezza del teatro è che tutto succede nel qui e nell’ora, accade proprio in quel momento di fronte agli spettatori. Ci sembrava, quindi, bella questa similitudine: il teatro porta con se’ questa grossa sfida, di concentrare tutto in un momento piccolissimo ma intenso e denso.”

VIANA “E’ proprio così. E sempre speriamo che quell’eco produca un’esplosione anche nel cuore degli spettatori. Con “La Sirenetta” ci auguriamo che, oltre “all'eco”, lo spettatore possa essere toccato anche in modo diverso. Possa sprofondare con noi in quel "mare", per poi riemergere con nuovi stimoli e spunti di riflessione.”

Quale tematica sviluppate in questo spettacolo e cosa vi ha portato ad attingere all’immaginario fiabesco raccontato da Andersen ?

FERRAU’ “La Sirenetta” era una fiaba tra le preferite di tutti noi componenti della compagnia e speravamo tanto, prima o poi, di poterla portare in scena. Ma la fiaba a cui noi ci ispiriamo è quella originale. Al contrario della versione edulcorata che conosciamo da Walt Disney, il racconto di Andersen fa riflettere sul doloroso percorso di una creatura meravigliosa, una sirena appunto, che rinuncia alla sua stessa essenza, cioè alla sua coda, per amore e per paura di non essere accettata per quello che è. E’ talmente giovane da non conoscere ancora i pericoli del mondo marino e di quello terrestre, ed è, a tutti gli effetti, un adolescente nel pieno di una crisi di identità. Una crisi che la porta a scegliere di rinunciare alla sua coda ed alla  sua voce nel disperato tentativo di essere amata da qualcuno che, tuttavia, non riesce ugualmente ad amarla. Sono gli stessi sentimenti che emergono fortissimi, a volte violenti, a volte teneri, ascoltando le storie di adolescenti che non si sono sentiti accettati per il loro orientamento sessuale ed hanno deciso di togliersi la vita. Giovanissimi che hanno rinunciato alla propria voce, al diritto di affermarsi per quello che erano realmente, per il terrore di non essere accolti e benvoluti da coloro di cui cercavano disperatamente l’amore. A volte sono i genitori, a volte le persone che incontri a scuola, a volte gli amici più intimi. Come, purtroppo, accade spesso nella realtà, anche la fiaba di Andersen finisce con un suicidio. Cerchiamo di portare sul palco la figura simbolica della sirenetta amplificando il valore della metafora, allargandola a tutte le code del mondo, ai tanti tipi di discriminazione e a quelle dolorose e intime sensazioni che ognuno di noi, anche se per poco, ha provato nell’età dell’adolescenza. Tutti conserviamo il ricordo di essere stati a disagio per “una coda” che a volte può essere un aspetto fisico, a volte un'attitudine, ma comunque qualcosa che fa parte pienamente e integralmente di noi stessi e che temiamo non sia pienamente accettata e amata da chi ci sta intorno. Ecco perché la nostra Sirenetta nasce sulla terra e si sente sempre fuori posto: lei vuole le gambe come tutti.”

VIANA “Aggiungo solo che abbiamo cercato, per quanto possibile, di trovare i punti di contatto tra la fiaba e la storia di un ragazzino che è il nostro protagonista. La coda, la perdita della voce, la strega del mare, il concetto stesso di “mare” sono state le parole chiave per affondare e sprofondare nel nostro racconto. Abbiamo, poi, confrontato e accostato queste parole ad altre vere, autentiche, tratte dalle lettere di alcuni adolescenti che hanno scelto di togliersi la vita perché non si sentivano accettati. Frasi come "essere intrappolato in un corpo non mio", "perdere la voce", "essere l'ombra di se stesso", "non mi riconoscevo più". Per noi sono diventate uno stimolo incredibile per tentare di rappresentarle in immagini di grande forza.”

Ne “La Sirenetta” siete entrambi in scena, ma in questo lavoro Giacomo deve affrontare anche l’impegno registico. Come avete proceduto nella collaborazione attore-regista / attore-attore?   

VIANA “Abbiamo lavorato con diversi assistenti che recitavano il ruolo di Giacomo al suo posto, così che lui stesso potesse guardare la scena dall'esterno e, quindi, dirigerci. Inoltre, Arturo Cirillo che ha collaborato registicamente alla messinscena, è riuscito con grande sapienza e sensibilità a guidarci, portandoci anche in territori a noi poco conosciuti. Ci ha aiutati a navigare in questo nuovo mare senza paura. Ma è stato grazie al lavoro e al contributo dell’intera compagnia, con Libero, Riccardo, e Giuliano Almerighi alle luci, che si è arrivati a questo risultato. Hanno tutti partecipato alla realizzazione dello spettacolo, anche condividendo esperienze personali di vita privata e intervenendo con suggerimenti sulla drammaturgia, che è stata poi curata da me e Giacomo.”

Critiche lusinghiere hanno accompagnato questo spettacolo e in molte di esse si è letto del doppio registro, ironico e ferocemente drammatico, su cui gioca l’allestimento. Perché l’esigenza di ricorrere a questo connubio stilistico pur parlando di un tema delicato come l’accettazione di sé?    

FERRAU’ “Avevamo bisogno di mettere un filtro per arrivare il più vicino possibile al cuore dello spettatore, ed è così che abbiamo pensato alla soluzione disorientante di Barbie e Ken. Nella camera di questo adolescente di cui seguiamo la storia, assistiamo all’animarsi dei vecchi giocattoli d’infanzia, attraverso la cui voce viene regalata agli spettatori una visione divertita e divertente delle dinamiche spesso profondamente contraddittorie della società in cui viviamo. Un mondo “giocattoloso” alla rovescia per parlare agli spettatori in modo straniante della nostra quotidianità; uno spunto che ci è stato fornito da Andersen stesso, che nelle sue fiabe, pensiamo, ad esempio, a “Il soldatino di piombo”, fa spesso ricorso a questa metafora.”

VIANA “ Va anche detto questo: ci piace pensare che, come spesso accade nella vita vera, anche nei momenti più tragici e sofferti si presenta sempre qualcosa, una situazione, una parola, che ti strappa un sorriso o addirittura una risata. Così è successo ne "La Sirenetta", dove a lasciare una traccia ironica sono i giocattoli del nostro protagonista”.

Quali sono state le difficoltà maggiori incontrate in questo lavoro e quali le più grandi soddisfazioni fin qui raccolte ?

FERRAU’ “Una grande difficoltà è stata quella di trovare, nel primo periodo delle prove, il modo di far arrivare questa fiaba ad un pubblico trasversale, e di scegliere un metodo affinchè la metafora venisse raccontata come un io lirico a più voci. L'altra sfida è stata quella dei giocattoli: come riuscire ad inserire un mondo “Barbiecentrico”, dove tutte le istanze e le dinamiche della società venissero viste al contrario, senza cadere nel ridicolo o senza banalizzare i diversi punti di vista fuori dalla visione del ragazzino. Le più grandi soddisfazioni, invece, sono quelle raccolte dai messaggi di ragazzi o adulti che ci hanno ringraziato per il lavoro svolto, scrivendoci di essersi rivisti in quella sirena. La loro riconoscenza più grande è che, grazie allo spettacolo, si sono ricordati di quando hanno scelto di non rinunciare alla propria voce e a loro stessi.”

VIANA “La difficoltà maggiore è quando incontri pregiudizi troppo radicati. A noi sembra che la sessualità, così come la morte, siano ancora un grande tabù della nostra società. Dopo una replica per le classi di un liceo, abbiamo saputo che alcuni genitori avevano impedito ai loro figli di venire ad assistere allo spettacolo perché avevano letto la presentazione de “La Sirenetta”. Questo per noi è preoccupante: è il segnale evidente che la nostra generazione, come quella precedente, sia responsabile della conservazione di questi tabù”.

Quanto è importante che oggi il teatro si faccia carico di riflessioni urgenti e reali come quella inerente il concetto di diversità ?

FERRAU’ “I casi di suicidio sono e rimangono ancora altissimi. Ci confrontiamo spesso con università che ci aggiornano sulle situazioni e sulle reali statistiche di suicido tra gli adolescenti. I dati sono sconcertanti. Per questo al termine degli spettacoli spesso organizziamo una serie di incontri con studiosi che possano riportare una fotografia reale e spesso sconosciuta della situazione attuale. Quindi, per noi non è solo importante che il teatro si faccia carico di domande e questioni del nostro tempo: è assolutamente necessario. E' necessario portare in scena queste parole, questa storia. L'atto di "raccontare", anche metaforicamente, è ricordare al pubblico, giovane e meno giovane, che non si è mai soli. Ci auguriamo che questo spettacolo possa offrire occasioni di riflessione a tutti coloro che si sono sentiti o si sentono una "coda", ma anche a tutti quelli che almeno una volta nella vita hanno indicato “la coda” degli altri. E’ importante accettarsi, ma così anche riconoscere e aiutare ad accettare. Per noi è stato, in un certo senso, fonte d’ispirazione anche il bellissimo libro di Dan Savage "Le cose cambiano": un inno alla vita, alla libertà e alla bellezza di essere se stessi. Anche lo spettacolo “La Sirenetta” tenta di mettere in luce quella bellezza”. 

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