L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

ALESSANDRO NIDI: "Quando la musica si fa drammaturgia"

Lo spettatore abituato a frequentare i teatri di Parma non può non conoscere il nome di Alessandro Nidi, musicista virtuoso del pianoforte, arrangiatore, direttore d’orchestra e compositore di alcune partiture per la scena che hanno segnato la storia del panorama artistico cittadino e nazionale (ha collaborato anche con registi del calibro di Peter Stein e con artisti come Franco Battiato, Lucio Dalla e Sergio Cammariere). Nel corso della sua carriera, il Maestro Nidi ha musicato opere liriche e di prosa indimenticabili, molte delle quali realizzate grazie a una feconda collaborazione con Teatro Due e, in particolare, con la figura carismatica di Gigi Dall’Aglio. Tra queste “L’Istruttoria”, “Enrico IV”, “Molto rumore per nulla”, “Le rane”, fino ad arrivare al più recente “In teatro non si muore”, regia postuma di Dall’Aglio che ha debuttato in questi giorni e che resterà in scena al Due fino a domenica 14 novembre. Partendo da quest'ultimo lavoro, abbiamo cercato d’indagare con il Maestro Nidi i principi ispiratori della composizione musicale destinata al teatro, provando altresì a capirne meglio le sue funzioni. Di certo essa non può più definirsi un mero accompagnamento alla parola o all’azione teatrale, avendo acquisito da tempo, e a ragione, una valenza quasi paritetica alla drammaturgia scritta.

Maestro Nidi, dai primi anni 80 lei collabora stabilmente con le più importanti realtà teatrali di Parma. Com'è cambiato l’uso della musica a teatro negli ultimi 40 anni? “Tanti anni davvero alle spalle, che mi hanno visto impegnato, soprattutto agli inizi, anche con un altro importante teatro di Parma, il Teatro delle Briciole, dove ho molto collaborato in produzioni per l’infanzia e l'adolescenza. Gran parte della mia crescita professionale la devo a due artisti straordinari: a Gigi Dall’Aglio di Teatro Due e a Letizia Quintavalla delle Briciole. Rispetto a quei primi anni pieni di entusiasmo e di voglia di sperimentare è cambiato l’approccio alla componente musicale sulla scena, o per meglio dire, molto di quello che viviamo oggi a teatro, anche in merito all’uso della musica, è mutato proprio in quel periodo. Arrivavamo da un momento storico in cui le note musicali erano percepite solo come corredo. Grazie alle visioni lungimiranti e all’energia di artisti come Dall’Aglio e Quintavalla, la musica è diventata vera e propria drammaturgia. Ricordo alcuni spettacoli dell’allora Collettivo dove la partitura sonora e musicale era tenuta continuamente in scena, come una forma viva, il cui contributo era determinante ai fini della riuscita del lavoro. Dall’Aglio mi diceva che la musica doveva dialogare con gli attori e con il pubblico e anche disturbare, infastidire gli interpreti, se necessario, come accadde poi nell’”Edipo re”, per suscitare dubbi, domande, per disorientare. Quegli anni sono stati strepitosi e davvero rivoluzionari. Oggi abbiamo fatto tesoro di quelle scelte e di quei rischi presi, sappiamo quanto la musica possa contribuire al significato di uno spettacolo. Dobbiamo, però, continuare a difendere queste conquiste artistiche e non cedere, come a volte ho visto fare in alcuni teatri moderni, alla divisione di generi, alla separazione netta fra musica e prosa, come se questi fossero punti fermi incapaci d’intrecciarsi. Musica e parola insieme sanno comunicare in modo molto profondo”

C’è uno spettacolo che più di altri ha tracciato il suo percorso di musicista per il teatro? “Più di uno, in realtà, in particolare tutti i primi spettacoli che ho musicato. Devo però ammettere che sono legatissimo ad alcuni lavori realizzati con Dall’Aglio: “L’Istruttoria” in primis e poi l’”Enrico IV”. Gigi è stato un amico ma è stato anche il mio mentore. A lui devo tantissimo, sia a livello professionale che umano. Ricordo poi come fondamentale per la mia maturazione musicale anche “L’Iliade” diretta da Walter Le Moli che vedeva in scena una interprete meravigliosa come Tania Rocchetta”

Fino a quest’ultima impresa, “In teatro non si muore”. A cosa si è ispirato in questo caso? “M’ispiro quasi sempre a qualcosa di scritto, non necessariamente al testo drammaturgico ma a un’opera letteraria, a un racconto. È per me naturale comporre per il teatro perché ho sempre sentito molto forte, imprescindibile, il legame con la parola scritta. Le mie partiture, i miei arrangiamenti, nascono sempre da una storia narrata. In quest’ultimo spettacolo, mi è stata offerta da Gigi un’occasione speciale: quella di giocare con le note, in passaggi originali, inediti, ma anche di citare, in alcune scene dedicate ai defunti, le musiche composte per i vecchi spettacoli della compagnia del Collettivo. Con Dall’Aglio abbiamo deciso di riprendere cinque o sei temi musicali a noi molto cari”

Maestro Nidi, lei si è dedicato anche all’opera lirica dove la musica di scena costituisce il contenuto stesso dell’azione teatrale. Nella prosa, nel teatro di parola, essa è, invece, il filo che imbastisce la narrazione, diventandone elemento portante. Quali principi compositivi segue nell’uno e nell’altro caso? “Può esserci una differenza sostanziale, ma nelle mie intenzioni no, cerco di seguire un principio cardine comune nella composizione, ovvero scrivo immaginando sempre una scena teatrale. In questo periodo ho composto un’opera tratta da “La moglie ebrea” di Brecht, che debutterà ad Ivrea e ho lavorato pensando a un’ipotetica azione teatrale. Resto poi sempre aperto alle modifiche, ai cambiamenti di stile, se ritengo che questi siano necessari per far meglio comprendere un passaggio, uno scambio dialogico, una personalità, una fase della storia, una situazione. Questo metodo lo adotto ogni volta, sia per la prosa che per la lirica: m’impegno a trovare una corrispondenza tra parole e musica, una consonanza profonda, modulando le note con le parole. E non esito a cambiare qualcosa nella musica se sento, ad esempio, che la stessa parola recitata da interpreti diversi non “suona” più con il resto”

Dicevamo del grandissimo Gigi Dall’Aglio. Ma c’è un altro gigante con cui lei ha lungamente collaborato che è improvvisamente mancato qualche mese fa. Mi riferisco a Franco Battiato. Cosa porta con sé, nei suoi ricordi e nella sua professione, di questi due immensi artisti? Quale speciale insegnamento? “Gigi mi ha senz’altro trasmesso l’amore per l’artigianalità del lavoro artistico, l’entusiasmo per ciò che si costruisce e cresce minuto per minuto, giorno per giorno. E poi il suo grande altruismo, la sua riconoscenza e la capacità straordinaria di mettersi in ascolto di tutti. Io non posso che ringraziare lui e la compagnia del Collettivo per avermi dato l’opportunità di trascorrere a teatro con loro 12 ore al giorno, d’imparare e assimilare dagli attori, dai loro confronti, dalla loro passione, e anche dai dibattiti politici e sociali. Con Franco è stata, invece, un’esperienza diversa, entusiasmante ma anche difficile perché per la prima volta mi sono addentrato in un genere musicale per me nuovo. Ho potuto misurarmi con il requiem e confrontarmi con un modo di scrivere totalmente diverso da quello a cui ero abituato. Battiato mi ha invitato a conoscere un mondo musicale lontano e mi ha trasmesso la curiosità e il coraggio di affrontarlo, sperimentando”

Da anni lei si occupa anche di corsi musicali per giovanissimi. Nel marzo 2007, ad esempio, ha avviato, con l'Orchestra della Fondazione Toscanini un laboratorio sulla direzione d'orchestra per bambini che oggi sta tenendo anche al teatro di Ferrara. Cosa si sentirebbe di suggerire a quei giovani che volessero intraprendere un percorso di studio per diventare musicista per il teatro? “Di aprirsi all’ascolto musicale, sempre. La cosa migliore che si può proporre è di stimolare l’attenzione di tutti verso la musica, fin dalla più tenera età. Non concentrarsi soltanto su chi ha già una passione per la musica ma portare tutti ad avere una conoscenza, una visione larga dell’argomento. Io ho tre figli che fanno questo mestiere, ma riuscire sul piano professionale è molto complicato, entrano in gioco tanti fattori. Io cerco sempre di trasmettere la mia esperienza a chi è alle prime armi, provo a seguire i talenti più giovani, quelli che magari avranno anche la possibilità di cimentarsi nella musica per la scena. A chi, ad esempio, mi sostituisce nelle esibizioni dal vivo durante gli spettacoli, penso a Davide Carmarino ora in scena al Due, dico ogni volta di prestare il massimo ascolto all’attore, alla parola detta, e non solo alle note. Sentire gli altri intorno a sé, essere generosi nell’ascolto, è fondamentale in questo mestiere. Un altro prezioso consiglio che ho ricevuto dal grande Gigi, che ho fatto mio e che desidero dare a mia volta”

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