L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

ANTONELLA QUESTA: "Con "Svergognata" invito a liberarsi dal peso del giudizio"

Un graditissimo ritorno quello di Antonella Questa a Parma. L’attrice torinese, molto amata dal pubblico per la sua energia travolgente e la verve ironica inconfondibile, aprirà, infatti, lunedì 10 luglio, alle 21.30, la quarta e ultima settimana di programmazione alla rassegna “Sul Naviglio”- realizzata dall'associazione L.O.F.T. nel cortile di Officine on/off -presentando uno dei suoi cavalli di battaglia, lo spettacolo “Svergognata”. Un one-woman show irriverente, dalla comicità esplosiva, che muove, però, a una riflessione lucida, cosciente, e senza filtri su una tematica molto attuale: la schiavitù dell’immagine e il timore del giudizio altrui. Attraverso la storia di Chicca, moglie tradita che prova dapprima a riconquistare lo sguardo del marito e raggiunge, invece, una nuova consapevolezza di se stessa, Antonella Questa indaga con ironia tra le umane debolezze e le trappole di un mondo segnato dall’omologazione e dal bisogno di approvazione.

Un titolo declinato al femminile che si rivolge solo alle donne o che guarda anche al genere maschile? “È assolutamente uno spettacolo che parla a tutti, che va oltre le differenze di genere; anzi, cerca proprio di abbatterle. Partiamo subito col dire che il teatro cosiddetto “al femminile” non esiste; io semplicemente sono un’attrice che va in scena con il proprio corpo di donna, ma che può interpretare anche personaggi maschili. Sarà così in “Svergognata” dove darò voce e gestualità anche a diversi uomini. Nello spettacolo, del resto, tratto un tema, quello della desiderabilità sociale e dell’ansia di piacere, che riguarda davvero ognuno di noi”   

I critici hanno speso negli anni parole bellissime per questo suo lavoro; qualcuno lo ha anche definito “terapeutico”. Secondo lei per via dell’alto grado di comicità (mai come ora sentiamo il bisogno di ridere) o per cos’altro? “Sicuramente per il linguaggio ironico e vivace che metto in campo e che fa parte della mia natura. Rappresenta uno strumento straordinario per sollevare il giudizio sia da noi stessi che dagli altri, per metterci in discussione senza remore. Lo spettacolo diventa così catartico e ci porta magicamente a comprendere con più facilità come liberarci dall’ansia di approvazione sociale”

Un lavoro teatrale che esplora anche l’emozione della vergogna. Cosa merita oggi per lei l’appellativo “svergognato” e di cosa, a parer suo, dovremmo ritrovare il pudore? “Sono cresciuta, come molti altri, con la frase “Non ti vergogni?”, un’espressione di rimprovero che tuonava ogni volta dopo un’azione commessa appena fuori dalle regole. Oggi, nel tempo complicato che stiamo vivendo, preferisco rispondere così: non so bene chi o cosa possa essere considerato “svergognato/a”, ma so per certo che non dobbiamo vergognarci di ciò che siamo, dei sentimenti che proviamo. Il pudore che oggi ci manca, invece, è quello per noi stessi: dovremmo tutti provare a stare di più nei nostri pensieri, nelle emozioni, nelle esperienze, nei luoghi, e meno sulle piattaforme social, dove la vita è sempre costantemente in vetrina”

Per un artista, però, lo sguardo degli altri è vitale, quantomeno in ambito lavorativo. Lei come vive il peso del giudizio altrui e come lo gestisce? “In maniera semplice e onesta. Dopo oltre trent’anni di esperienza teatrale, non sento più quel peso. So che il mio lavoro può piacere o meno, ma ho capito che in scena devo essere sincera, con me stessa e con il pubblico. Solo allora i miei personaggi risultano credibili, e questa sincerità mi libera dalla paura del giudizio. Il mio modo di fare teatro può non incontrare il gusto di alcuni spettatori, ma se presento un lavoro fatto, comunque, con cura, passione e onestà di mestiere, so di aver dato tutta me stessa e di non aver nulla da rimproverarmi”

Uno spettacolo il suo dove la potenza della parola si coniuga perfettamente con il linguaggio del corpo…. “Sì, è riduttivo definire “Svergognata” un monologo. Nel racconto creo delle vere e proprie azioni coreografate, progettate insieme alla coreografa e amica storica Magali Bouze, e presento ben 10 personaggi diversi, non solo attraverso la modulazione della voce ma anche nel linguaggio del corpo che è più eloquente e meno didascalico”

Dopo la scoperta del tradimento del marito, la protagonista trova il coraggio di affrontare la crisi aprendosi al confronto con altre donne. Quanto è importante per l’empowerment femminile riuscire a fare rete attraverso il dialogo e la condivisione delle esperienze? “È indispensabile. Ma non mi riferisco solo alla rete fra donne: è la condivisione fra esseri umani che ci aiuta ad affrontare i momenti difficili. Lo racconto anche in un altro spettacolo teatrale “Un sacchetto d’amore”. Mettersi in discussione, attraverso il confronto con l’altro, è una grande risorsa, è ciò che ci salva sempre”

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