La nostra regione è pronta a festeggiare la nascita di un nuovo festival di teatro, l’Epica Festival, che per due settimane (la prima parte dal 2 al 6 giugno e poi nelle giornate dal 15 al 16 giugno) coinvolgerà la città di Bologna, nonché molte zone della sua provincia. Non si può che essere felici di leggere notizie simili, soprattutto dopo l’annus horribilis attraversato dal comparto culturale e teatrale, e in questo momento che segna, sì, una graduale riapertura delle attività performative al pubblico, ma non senza fatica e immani sforzi organizzativi. L’inaugurazione di una rassegna particolarmente articolata e ricca di appuntamenti rappresenta, dunque, oggi “un atto concreto e simbolico che sottolinea la necessità di un rilancio verso artisti, linguaggi della scena, pubblico” e che attraverso una molteplicità di processi, progetti, riflessioni e incontri contribuirà fattivamente a ristabilire la relazione con il proprio territorio (comportando anche positive ricadute sull’intero sistema teatrale emiliano-romagnolo, secondo una consolidata modalità di lavoro volta all’inclusione e all’integrazione di diversi sguardi artistici). All’ideatrice e Direttrice del Festival, Elena Di Gioia, abbiamo chiesto della genesi dell’iniziativa e degli orizzonti verso cui tendere per “ritrovarci al centro della piazza del teatro e della cultura”.
Come si arriva a un festival teatrale dopo un periodo così buio come quello trascorso e solo parzialmente superato? Seguendo quali principi ispiratori? “Ci si arriva percorrendo un tragitto doppio, quello che si snoda fra necessità e desiderio. Certo, in questo momento il Festival è un vero e proprio “ardire”, ma nel coraggio esso vuole dare un segnale preciso, riconoscibile, vuole comunicare l’urgenza di riconnettere gli artisti al pubblico. Il doppio sentiero nasce nell’alveo della stagione Agorà, presente da anni sul territorio di Bologna, ed era per noi naturale che conducesse a un progetto speciale come Epica; soprattutto dopo questo anno faticoso, terribile, in cui è stato così difficile, praticamente impossibile, sentire parole come attore, attrice, teatro. Con il Festival vogliamo riaccendere l’attenzione sui linguaggi della scena, sulla relazione straordinaria che essi sanno instaurare e sul ruolo imprescindibile degli artisti, che sono le antenne della nostra contemporaneità. Abbiamo pensato questo progetto come un fiore che germoglia, che irradia una luce di rinnovato senso, che è tenace e resistente anche al peggior inverno; ecco perché come immagine rappresentativa del Festival abbiamo scelto un’opera del fotografo Nino Migliori, un suo scatto che ritrae un tombino a forma di corolla a cui qualcuno ha, però, disegnato con un gessetto lo stelo di un fiore, come a dire: quando interviene l’arte il mondo svela bellezze e significati inaspettati”
Ma perché la scelta del titolo Epica? “Sottolinea il senso di avventura di una coraggiosa impresa collettiva e, inoltre, l’epos è la narrazione della storia collettiva, un riferimento che si accosta perfettamente anche alla nostra stagione di Agorà, appunto la piazza in cui la comunità si confronta. È importante recuperare e dare valore a parole antiche che possono ancora guidarci verso il futuro”
Nella presentazione lei ha scritto “Sarà un festival per provare a ritrovarci compagni di viaggio nell’arte e nel teatro”, un viaggio che come diceva poc’anzi ha avuto inizio in Agorà, e dunque con una stagione la cui prima edizione risale al 2016. Com’è stato il cammino fin qui intrapreso e quale approdo auspica di raggiungere con il Festival? “È stato un percorso complesso, ma molto stimolante ed emozionante. Agorà non si è mai fermata davvero nemmeno in questi mesi e già a settembre comincerà la sesta edizione. Anche la stagione attuale ha però ripreso le attività in presenza, ricominciando dal primo maggio scorso con gli spettacoli dal vivo. Quello che avverrà con il Festival sarà una sorta di passaggio di consegne, che confluirà in un percorso molto speciale, un viaggio concentratissimo di eventi, un rito collettivo che si svolgerà in pochi giorni, come una grande festa del teatro. Perché parlo di “compagni di viaggio”? Perché il teatro deve offrire l’occasione di ricucire il dialogo tra soggetti diversi, che possono appunto scoprirsi compagni nella crescita e nell’ascolto. Deve saper mettere in relazione le diverse generazioni della scena, il pubblico con gli artisti, i teatranti con gli amministratori e le associazioni. Essere compagni di viaggio significa prendersi cura gli uni degli altri. Agorà, e così il suo frutto, Epica, non potrebbe vivere senza quel desiderio di diventare compagni di un viaggio comune”
Entrando nel dettaglio del festival scopriamo artisti eccezionali come Mariangela Gualtieri, Roberto Latini, Marco Martinelli, César Brie, Oscar De Summa e molti altri…Quale filo conduttore ha ispirato la composizione del programma? “Per quanto riguarda Mariangela, le abbiamo chiesto di pensare a un momento inaugurale e lei, che è un’artista e una donna straordinaria, ha accettato con entusiasmo. Sarà suo “Voce che apre”, l’opening ufficiale del festival il 2 giugno alle 21 a Castel Maggiore, e sarà un momento simbolicamente molto forte proprio perché incentrato sulla parola poetica, su un prezioso rito sonoro che, crediamo, per molti spettatori sarà il primo spettacolo dal vivo dopo tanti mesi di lontananza. Per ciò che concerne gli altri ospiti, abbiamo cercato di seguire il filo rosso del “racconto in divenire”: vedremo infatti alcune anteprime, prove aperte di spettacoli in creazione, assaggi di lavori che pensiamo si nutriranno anche di questa occasione di confronto e apertura offerta da Epica. Di certo ci siamo lasciati guidare dal desiderio di mescolare le carte, i processi e di accostare generazioni del teatro differenti tra loro, per specificità e poetica, provando a farle sentire vicine e affini nello scopo condiviso di creare relazioni”
Epica vedrà anche la realizzazione di un ciclo di tavole rotonde. Su cosa verteranno? “Cercheranno di rispondere a una domanda sostanziale: che cosa racconteremo del nostro tempo? Questa parte del progetto, che sarà divisa in quattro giornate, è stata curata con Lorenzo Donati, critico teatrale di Altre Velocità, e contribuirà a creare un momento di riflessione su temi cogenti per la cultura: quale narrazione scaturirà dalla crisi che viviamo? Rispetto alla scena, rispetto al rapporto con la comunità e con la città, che prospettive possiamo vedere o ritrovare davanti a noi? Cosa si è trasformato, cosa sta accadendo al nostro modo d’intendere la socializzazione? Saranno tavole rotonde moderate da studiosi e artisti, per prendersi un tempo necessario al pensiero. Anche questo sarà un prezioso strumento per riconvocare la comunità del teatro”
Epica si lega in modo radicale al territorio di Bologna, ma nel futuro si potrà pensare a uno scenario d’intrecci culturali più allargato? Magari guardando a progetti regionali che ripercorrono le stesse linee, realizzando forme di gemellaggio… “Mi auguro di sì. Già nel 2015 mi ero impegnata nella realizzazione di un progetto che abbracciava artisti e strutture culturali di diverse realtà emiliano-romagnole, e la risposta, anche da parte del pubblico, fu molto bella. La nostra regione è pronta ad accogliere proposte simili perché sentiamo forte la responsabilità culturale, il valore dell’arte. Rispetto ad Agorà e alla prima edizione di Epica questo discorso di largo respiro non è stato però possibile perché il tema fondante del festival si stringe all’area metropolitana di Bologna, e muove a ristabilire il dialogo fra la città e i comuni attorno. I luoghi che coinvolgeremo nel festival non saranno solo teatri tradizionali, ma anche spazi urbani ed extraurbani inusitati, come i poderi agricoli, l’ex cimitero ebraico, la biblioteca Salaborsa. Tenteremo ogni volta d’intrecciare poeticamente i luoghi con gli spettacoli stessi”
È di pochi giorni fa il suo incarico di Direttrice dell’Osservatorio locale per il Paesaggio del Reno Galliera. Una sfida che trasferirà attraverso azioni e sguardi anche nel grande progetto di Epica? “Sì, assolutamente, e sempre nell’ intento di portare il teatro anche fuori dai luoghi convenzionali. L’esperienza all’Osservatorio mi permetterà di rafforzare questa dimensione artistica e culturale del paesaggio; non sarò sola in tutto questo perché è un ente che coinvolge una ventina di diverse associazioni territoriali, dall’ANPI, alle guide ambientali, dalle guardie ecologiche, ai gruppi didattici per l’infanzia. Mettere insieme questo mondo non può che generare ricchezza di dialogo e nuovi punti di vista. Credo proprio che sfocerà in una progettualità importante, volta a ricordarci come il paesaggio che abitiamo sia espressione della nostra memoria, della storia passata, ma anche proiezione del futuro che vorremmo vivere”
Per info sul programma: http://epicafestival.it/