Attrice di grande sensibilità e versatilità, più volte premiata con l’Ubu, prestigioso riconoscimento nazionale, Francesca Mazza è un’artista che, negli anni, ha voluto e saputo spaziare anche in ambito formativo, registico e produttivo, affiancando una intensa attività laboratoriale e di ricerca volta soprattutto a indagare le tematiche femminili e la questione di genere. Ed è proprio con uno spettacolo tutto al femminile, “Due vecchiette vanno a Nord”, un testo drammaturgico di Pierre Notte, scelto e vissuto sul palco insieme alla collega Angela Malfitano, che Francesca Mazza tornerà a Parma, alla rassegna “Sul Naviglio”, mercoledì 10 luglio, alle 21.30.
Chi sono Annette e Bernadette le due protagoniste di questa pièce a metà tra commedia e dramma? “Sono due sorelle arzille ma un po’ attempate che decidono di partire verso il Nord della Francia e in questo viaggio rocambolesco, insieme reale e metaforico, carico di memorie e conti da chiudere, sembrano un po’ la versione agée e ironica di Thelma e Louise. In effetti, anche se siamo a teatro, l’atmosfera che si respira è quella di una sorta di road movie, dove le due protagoniste, alla morte dell’anziana madre, scelgono d’intraprendere un viaggio pieno d’imprevisti verso un lutto ancora più antico, legato al padre e alla sua tomba che loro non ricordano più in quale cimitero sia. Presto quest’avventura si trasforma per le due donne in un viaggio di conoscenza reciproca, potremmo quasi definirlo uno stratificato viaggio “a quattro”, per i due personaggi e noi due attrici, e anche un modo divertito e arguto per imparare ad affiancare e superare la paura della morte, anziché caricarcela sulle spalle”
E Angela Malfitano e Francesca Mazza come si sono affacciate a questo testo e a questi due personaggi dallo humor così corrosivo? “È stato un caso fortunato. Per lungo tempo abbiamo cercato una drammaturgia che prevedesse in scena due sole attrici, ma non trovavamo nulla. Qualche anno fa, poi, partecipando al progetto “Face à Face” in collaborazione con realtà teatrali francesi, vidi il titolo di quest’opera di Notte e chiesi maggiori informazioni alle curatrici dell’iniziativa. Una volta letto il testo, sia io che Angela abbiamo capito subito che era quello che cercavamo. E poi questo lavoro teatrale è geniale per un altro aspetto: più gli anni passano, più le interpreti entrano nella parte delle due vecchiette!”
Esorcizzare la morte attraverso la risata, affrontare il dolore della perdita e la paura del futuro grazie all’ironia. È un esercizio possibile solo a teatro o anche nella vita vera? “L’arte offre una possibilità per allenarsi a quell’approccio più leggero, ci regala dei suggerimenti utili, ma l’elaborazione di un lutto, la paura della morte, le incertezze sul futuro fanno parte di un percorso molto personale e intimo. Di certo tutti noi dovremmo imparare a prendere per mano i nostri fantasmi e ballare insieme con loro”
Una volta lei ha dichiarato: “sono profondamente convinta che lo stare in scena sia sempre autobiografia”. Cosa c’è di autobiografico qui? “Sì, penso che sia proprio così perché quello che noi attori portiamo sul palco non può che attingere al serbatoio delle nostre memorie, delle esperienze, del nostro vissuto interiore e questo al di là delle richieste registiche. Siamo noi la materia su cui plasmare i personaggi. In questo lavoro teatrale, ad esempio, io e Angela abbiamo estratto a sorte chi doveva interpretare Annette e chi Bernadette; ecco, se l’esito fosse stato un altro, sicuramente anche lo spettacolo finale sarebbe stato completamente diverso, e ciò nonostante storia e personaggi fossero gli stessi”
Questo lavoro è una produzione dell’associazione “Tra un atto e l’altro” fondata proprio da lei e da Angela Malfitano. Di cosa si tratta esattamente? “È una bellissima realtà artistica costituita nel 1999 a Bologna, in occasione dell’elezione della città a Capitale Europea della Cultura. Fu quello un momento importante anche per molte artiste donne nel mettersi a confronto in diversi ambiti. Io e Angela abbiamo, così, deciso di sviluppare insieme la nostra idea di imprenditorialità femminile applicata al contesto teatrale, mettendo a disposizione la nostra esperienza. Riteniamo che l’approccio femminile in questo ambito, come artiste e come imprenditrici, sia molto diverso, potremmo dire, più inclusivo e coraggioso. È un modo di lavorare che invita ad aprirci e a creare nuove collaborazioni, come è ormai da più di 10 anni per il progetto che portiamo avanti a Villa Salina Malpighi: una splendida dimora del ‘700 dove periodicamente ci ritroviamo con altri artisti per dialogare, confrontarci e ragionare di regia, recitazione, drammaturgia, autorialità. Lo viviamo come un autentico spazio di libertà creativa e di riflessione profonda e condivisa”
Lei sostiene da sempre l’importanza d’intrecciare questo tipo di collaborazioni ed esperienze in ambito artistico per far sì che il teatro resti “una cosa viva”. Oggi, a fronte della crisi del comparto teatrale, è più difficile nutrire questi incontri fra gli artisti o le difficoltà progettuali sono imputabili solo a ragioni di natura economica? “Quella che stiamo attraversando è una crisi globale e culturale che non tocca unicamente il teatro e che va ben oltre i costi. Io, però, ho ancora la speranza che le crisi, anche quelle gravi e profonde, sappiano avvicinare e non dividere. Mi capita di parlare con tantissimi giovani artisti di valore e penso che questo sia il momento per loro di dimostrare un grande coraggio, di tornare a guardare al teatro come una vocazione e non come un mezzo per raggiungere fama e successo. Personalmente credo ancora in un teatro d’arte e poesia, dove l’attore non è chiamato a postare sui social, specchio deformante della realtà, ma si fa invece veicolo di parola, visioni ed emozioni. Solo così, senza temere la bellezza e la profondità della poesia, il pubblico saprà accendere il proprio sguardo, il proprio senso critico, e imparerà a mantenerlo attivo”