L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

GUIDO MENCARI: "Nella fotografia c'è la responsabilità del racconto"

Non si può fotografare il teatro se non lo si conosce a fondo, se non lo si vive “da dentro”, affinando una speciale sensibilità che aiuti a coglierne tensioni, poesia, verità, forza, fragilità, per farne un compiuto racconto visivo. Lo sa bene Guido Mencari, tra i più apprezzati esponenti della fotografia di scena contemporanea e autore di scatti permeati di quella che lui stesso ha definito “l’iper-vita del palco”. Da Romeo Castellucci a Bob Wilson, da Armando Punzo a Jan Fabre, sono diverse e prestigiose le realtà che dal 2011 hanno incontrato il suo obiettivo fotografico, per lo più improntato alla ricerca di un’estetica densa di significati e simbologie, e sempre nella consapevolezza di essere spettatore e autore, ma soprattutto testimone e depositario della memoria viva di un evento teatrale.

È nata prima la passione per il teatro o per la macchina fotografica? Romeo e Giulietta del Teatro Del Carretto e Corpo Sterminato (secondo studio) della Compagnia Krypton mi hanno fatto appassionare al teatro dimostrandomi, attraverso linguaggi diversi tra loro, quello che il teatro poteva essere. La fotografia è arrivata, quindi, molti anni più tardi, quasi per caso. Dopo le prime esperienze con la macchina fotografica, ho seguito un percorso di formazione che mi ha portato a svolgere per un breve periodo il lavoro di fotogiornalista: nel 2011 ho fotografato la Socìetas Raffaello Sanzio a Londra, scattando anche alcune immagini dello spettacolo Sul concetto di volto nel figlio di Dio. L’apprezzamento di Romeo Castellucci rispetto al mio lavoro e il sostegno della mia compagna dell’epoca mi hanno poi convinto a continuare nella direzione del Teatro”

Le sue immagini sembrano accendersi e vibrare di contrasti, inquietudini, dettagli. Come si pone la sua fotografia rispetto al mistero del teatro e all’inafferrabilità dell’azione scenica? “La fotografia di teatro non esiste poiché non potendo dare una definizione unica del teatro non possiamo nemmeno definire un genere specifico della fotografia legato al teatro stesso. Il qui e ora diventa in fotografia un ovunque e per sempre, una contraddizione che indago ogni volta, cercando di raccontare ciò che vedo e sento e non necessariamente quello che c’è. La mia modalità di lavoro si sviluppa tramite un meccanismo d’interpretazione di quello che percepisco e provo, traducendolo in due dimensioni, nel tentativo di ricreare le stesse atmosfere in un'immagine”

Nel passato lo scatto d’autore si nutriva del rapporto stretto con gli attori-divi. Oggi come è mutato l’approccio creativo ed artistico del fotografo al lavoro di scena? “Non ho avuto modo di confrontarmi con un passato di attori-divi quindi non so come sia realmente cambiato l’approccio con il mondo teatrale. Posso, però, parlare della mia esperienza e di quando ho iniziato: il mio lavoro è sempre stato cercare una lettura, una narrazione personale nel mio racconto per immagini, indipendentemente da quello che fotografo, sia esso uno spettacolo, una performance o un evento dal vivo”

Ma lei come si pone rispetto alla transizione digitale che ha reso il mezzo fotografico accessibile ai più? Quali interrogativi ha innescato questo cambiamento in chi come lei è sì osservatore, ma in primo luogo professionista di questa narrazione per immagini? E a fronte di un uso spesso spregiudicato dello strumento da parte del pubblico, come si può oggi lavorare insieme per sviluppare un’autentica cultura della fotografia? “Una cultura della fotografia si può sviluppare soltanto attraverso il rispetto del lavoro di coloro che la realizzano, sperando che, nel tempo, diventi una materia di studio nelle scuole. Essendo la fotografia un linguaggio, lo strumento fotografico rappresenta un mezzo per comunicare attraverso le immagini. Diventando esso più accessibile, aumenta la libertà di espressione. Oggi quasi tutti sono nelle condizioni di poter raccontare per immagini, quindi la questione non riguarda più il mezzo in sé, sia esso una macchina fotografica o un telefono, ma il tipo di racconto a cui si dà vita; è l’insieme di competenze, sensibilità, capacità di osservare a renderti un fotografo, non la diffusione di apparecchi fotografici, così come la diffusione di massa della penna a sfera non ha reso tutti scrittori”

È ormai pratica teatrale diffusa prevedere l’uso di immagini e materiale video nella struttura stessa dello spettacolo, nella sua messinscena. Da fotografo come vive e interpreta questa compenetrazione di linguaggi, questa teatralizzazione del “testo visivo”? “Il teatro è di per sé una commistione di linguaggi, aggiungere altri elementi è solo andare avanti nella ricerca di quello che il Teatro può essere. Sono contento che ci sia questa sperimentazione e che i teatranti dimostrino vitalità reinventandosi continuamente e cercando di spostare ogni volta la definizione di Teatro, proponendo nuove suggestioni”

C’è un artista o spettacolo del passato che avrebbe desiderato immortalare e raccontare attraverso il suo obiettivo? Per contro esiste, invece, una fotografia nel suo attuale portfolio teatrale che meglio identifica la sua poetica di visione? “Avrei voluto raccontare il teatro di Carmelo Bene, perché mi sarebbe piaciuto provare a fare delle fotografie dell’attimo e non dell’azione. Ma anche raccogliere la sfida di fotografare gli #11 episodi, unici ed irripetibili, della Tragedia Endogonidia di Romeo Castellucci. Per quanto riguarda, invece, le foto da me finora realizzate, non credo ce ne sia una più rappresentativa dell’altra, o meglio, preferisco lasciare agli altri la scelta su quale possa essere”

Dicevamo prima della sfida apparentemente impossibile della fotografia di scena, ovvero quella di fermare nell’immagine il carattere effimero dell’arte teatrale, di fissare in un ricordo, visivamente riproducibile, l’hic et nunc dello spettacolo dal vivo. Serve audacia per muovere a questo o cos’altro? “Credo che si debba parlare più di responsabilità che di audacia. Considero le immagini di teatro una narrazione parallela allo spettacolo con il quale si intersecano e dialogano. Le fotografie sono sia il racconto che la traccia rimanente; per questo è importante andare a fondo nella narrazione, nell’ascolto dell'emotività e nella restituzione personale dell'hic et nunc. Il tentativo di tradurre l’effimero in un’immagine può riuscire soltanto attraverso il poetico. Questo lo slancio che ho e, come direbbe Hemingway, è il mio sanguinare”

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