La recensione

I SOGNATORI: omaggio lieve e delicato alla forza immaginativa

DI: Manuela Capece e Davide Doro

CON: Erica Meucci, Giuseppe Claudio Insalaco, Piergiorgio Gallicani

PRODUZIONE: Teatro delle Briciole/Solares Fondazione delle Arti

È un tempo stravolto e spaventoso quello in cui siamo costretti a vivere. Ecco allora che il teatro può venire in soccorso e riaccendere in noi quell’infantile e serena disposizione alla meraviglia che sempre dovremmo  impegnarci a difendere per non smarrire la nostra più genuina e profonda capacità di sguardo; guardare all’Altro, al mondo, alla vita, alla morte, alla poesia, all’arte. Senza convenzioni, regole o paure, ma con quel puro afflato di curiosità e stupore che solo può restituirci un senso di libertà.

Lo spettacolo "I sognatori" che Manuela Capece e Davide Doro, storica Compagnia Rodisio, hanno presentato sabato scorso al Teatro al Parco, nell’ambito della stagione Ottobre/Dicembre 2021 del Teatro delle Briciole/ Solares Fondazione delle Arti, è un inno a questa bellezza anarchica dell’immaginazione e alla leggerezza salvifica dell’invenzione poetica. Ispirati e lievi “cantori” del gioco teatrale, danzato sul confine tra realtà (l’umanità dei corpi e della parola) e sogno (il racconto stesso con le sue atmosfere, le suggestioni sonore, le percezioni visive), sono tre bravi interpreti che parlano a generazioni diverse, ma con la medesima urgenza e delicatezza: ai più giovani vanno le evocative coreografie contemporanee di Erica Meucci e Giuseppe Claudio Insalaco, nei panni degli stralunati artisti vagabondi Pallina e Cico, e ai più “grandi” la narrazione, ironica e al contempo nostalgica, di Piergiorgio Gallicani, qui nel ruolo del capocomico Gigante.

Ma sono davvero dei “giganti” - sembra chiedere lo spettacolo- questi adulti che abitano un mondo dove la luna, emblema poetico per eccellenza, è addirittura scomparsa? La fisicità esile di Gallicani, il sottile strato di biacca sul volto consumato, da clown triste, i gesti improbabili e un po’ folli, strampalati, richiamano più una idea di fragilità, incertezza e smarrimento che non di potenza e dominio su quel mondo. Del resto Gigante è testimone di un fatto gravissimo: ha visto la luna e ora sa che lei se ne è andata, scacciata da un vento terribile, il Polverone, fenomeno eccezionale che disperde la memoria delle persone e getta tutto nel caos. Così descritto, il mondo di Gigante, Cico e Pallina ha molte analogie con il mondo reale, quello della nostra quotidianità, luogo dove ogni giorno veniamo sconquassati dai pregiudizi, disorientati dalle difficoltà, confusi da un brulicare convulso di voci, e dove è sempre più difficile preservare la memoria, incontrare qualcuno capace di fermarsi a guardare la luna, sorprendersi a ballare, intonare una canzone o una poesia, lasciarsi stupire da una capriola improvvisa o da un spettacolo giocoso; come intende fare, invece, il grande “circo” delle meraviglie che Gigante, Pallina e Cico immaginano in ogni dettaglio, con il tendone, il carro degli attrezzi, la legna e tanti animali.

Per guardare davvero bisogna chiudere gli occhi, dice Gigante ai suoi due giovani e inesperti aiutanti. Lasciarsi trasportare, attraverso il sogno, nel mondo delle infinite possibilità, ovvero della libera espressione di sé, che qui si trasmuta in ampi e armoniosi movimenti di danza e in dialoghi di visionaria bellezza. In questa dimensione onirica c’è spazio per tutti i sognatori dell’universo e si può immaginare qualsiasi cosa: avere un teatrino ambulante, accendere un fuoco, sorseggiare insieme una tazza di latte e miele e nella stessa tazza scorgere una mamma balena che nuota con il suo cucciolo, per poi trasformarsi in una frotta di topolini. Fantasticare non è in fondo come creare e la creazione poetica non è la più gentile delle rivoluzioni? Non si può avere dubbi su questo (e poi si sa: i dubbi non sono altro che grandi e indomabili balene rinchiuse in una tazza!) ed è da qui, da questa certezza, che nasce la necessità dell’artista, il suo voler omaggiare la pienezza della Vita nella forma di uno spettacolo che sappia generare meraviglia, stupore e gioia, tra poesia e danza. Non è impresa da poco, però. Per quei finti “giganti” che piangono appena nascono, e che poi, nel corso della vita, arrivano a perdere anche la luce della luna- nonché la sua voce, per citazione di felliniana memoria- come si può ravvivare l’innocenza e la forza del gioco fantastico, dell’ispirazione artistica?

“Fare lo spettacolo delle meraviglie è difficile come far scendere la luna”, ammette Gigante, ormai disilluso. Non bastano i colorati trasformismi di Cico e Pallina, la comparsa di un teatrino vero, con sipario rosso e tante luci, o il coraggio nell’affrontare il pericoloso, e fatale, numero con le catene (altro dichiarato riferimento all’indimenticabile personaggio felliniano di Zampanò). Occorre guardare meglio, con più attenzione e cura, chiamarsi gli uni con gli altri, riconoscersi, ascoltarsi, non perdersi nella nebbia, nel fragore del vento, e ritrovarsi, infine, riuniti in quell’unico mistero che contiene finzione e verità, gioia e dolore, vita e morte. Tutto è possibile quando la luminosa luna miracolosamente riappare, e anche in scena, nel chiarore che regala il suo spicchio, in quello spazio che appartiene sì all’arte teatrale ma che è pulsante di sincera tenerezza, è bello potersi riscoprire in Cico e Pallina e sognare di stringersi come loro in un autentico e commosso abbraccio.

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