Una interprete dall’intensità straordinaria, un’eccellenza della scena nazionale e del teatro di ricerca contemporaneo che torna finalmente a Parma. Mancava da troppi anni, Ilaria Drago, dai nostri palcoscenici cittadini e lo ha capito anche l’associazione L.O.F.T. APS che ha fortemente voluto la sua presenza alla rassegna estiva “Sul Naviglio”, giunta alla seconda settimana di programmazione. Tra gli ospiti più attesi di questa settima edizione, l’artista toscana - già allieva di Perla Peragallo, con la quale si è formata, e interprete nella Compagnia di Leo De Berardinis, è oggi pluripremiata attrice, performer e autrice di testi drammaturgici e poesie - porterà in scena, lunedì 24 giugno, alle 21.30, nello spazio di Officine on/off, il suo ultimo lavoro teatrale, CIRCE, opera che lei stessa definisce “un viaggio attraverso la radura della propria interiorità per giocare insieme a guardare i fondi delle bottiglie, per togliere i veli delle illusioni”. Un invito, dunque, ad aprire nuovi sguardi su sé stessi e il mondo circostante, superando barriere ed etichette.
La sua Circe non è più la maga crudele del poema omerico ma una custode della Bellezza del mondo, carica di una forte valenza sacra … “È un personaggio femminile forte e determinato che si esilia dal mondo in cui non si riconosce più, a cui sente di non appartenere perché diventato troppo disumano e ingiusto. Per costruire la mia Circe ho studiato molto, approfondendo diversi testi come quello di Madeline Miller, e in tutti ho ritrovato potenza e coraggio. Circe non si lascia dominare ma è capace di rifiutare categoricamente le regole imposte dagli dei, così come certe dinamiche dettate dal potere e dagli uomini. “La mia anima non è fatta per queste cose, il potere non ha vergogna” afferma Circe a un certo punto. Nel mio lavoro gli spettatori saranno ospiti sull’isola di Circe e saranno da lei guidati in un viaggio di smascheramento delle illusioni da cui, volenti o nolenti, tutti veniamo un po’ ingannati. Qualcuno ha definito questo spettacolo politico. Lo è per quel principio matrifocale che lo permea, per questa strenua difesa del femminino e dell’umano in ogni suo aspetto. Per aprire il nostro sguardo, Circe ci mostra la nostra società, dove imperano odio, paura, violenza, guerra, massacro. Lo fa attraverso continue mutazioni sceniche, trasformandosi in diversi personaggi. Ed è proprio uno di questi, la clochard Gallina, a nominare il Cristo e ad avvicinarlo metaforicamente a tutte le persone del mondo considerate “diverse”.
Circe è dea ma anche donna, anzi incarnazione di tante donne. Chi sono queste altre figure femminili evocate in scena? “Un filo da me tracciato nello spettacolo è appunto quello del sapiente femminile, che risorge da ceneri di infinite narrazioni distorte sull’argomento. È ciò che riesce a unire le donne oltre i confini geografici e le epoche; così ritroviamo insieme le tradizioni delle donne sarde, i gesti rivoluzionari delle donne iraniane, le madri di Plaza De Mayo, le bambine e le madri sui barconi. Tutte loro si collegano a Circe stessa perché come lei non abdicano alla propria anima, nonostante la solitudine, il dolore e le sofferenze. È anche espressione della forza di Madre Terra, evocata in un rito scenico proprio da Circe”
Quale registro interpretativo adotterà per guidare lo spettatore in questo viaggio? “Sarà dinamico e mutevole. Userò diverse modalità recitative, mi affiderò molto alla vocalità ma anche al gesto danzato, al canto, alla parodia. Sarà un registro poetico e al contempo grottesco e spietato, una metamorfosi costante, con i cambi a vista dei personaggi. Un po’ come a voler dire al pubblico: “Partiamo, salpiamo. Dove si va, non si sa. Oggi giochiamo e delle cicatrici faremo vie di resurrezione”.
Nei suoi lavori lei attinge spesso al mito antico. Come riesce oggi il mito classico a soccorrerci per ricordarci il senso della nostra Esistenza e il valore di ciò che rischiamo di perdere, ossia la Civiltà? “Nel mito troviamo sempre delle risorse straordinarie. Ciò accade, io credo, per la sua stretta connessione con l’elemento sacro e non materiale, con il mistero. La memoria di chi ci ha preceduto, delle opere e degli archetipi, non dovrebbe essere mai dimenticata ma ricordata e vivificata. Nei miti antichi troviamo quelle che sono le tracce dell’umano ma la nostra vita è adesso; dunque, non possiamo semplicemente ripetere il mito, dobbiamo invece rintracciare in quei racconti, in quei personaggi e in quelle trame i codici per indagare il nostro oggi. Sono le chiavi che permettono di entrare dentro di noi, che continuano, e continueranno in futuro, ad aprire sempre nuove porte sull’adesso. La figura di Circe, ad esempio, consente di muovere considerazioni importanti anche sulla pericolosa desacralizzazione e mercificazione del corpo nel mondo moderno. Attraverso di lei applico l’arte della metamorfosi consapevole per conoscermi e per conoscere il mondo”
Cosa vorrebbe che arrivasse al pubblico del Naviglio? “Questo con Circe è un viaggio nel cuore, nell’anima umana, alla scoperta di sé, un canto alla vita e all’amore. Sarebbe bello se gli spettatori lo vivessero così, mettendosi idealmente a nudo come fa il personaggio in scena, senza paure, riscoprendo il mistero e l’energia che lo abita. È un invito a liberarsi da identificazioni precostituite, da classificazioni di genere, categorie, bandiere. Faccio mie le parole di Simone Weil che tanto mi ispirano nella vita e nel lavoro: “non appartengo a nessun noi, perché ciò vorrebbe dire abbandonare tutti gli altri”.