L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

MANUELA CAPECE: "Al Teatro delle Briciole il rito teatrale secondo la Compagnia Rodisio"

“È partito proprio da qui, dal Teatro delle Briciole, il nostro percorso artistico” racconta Manuela Capece, anima insieme al compagno Davide Doro della Compagnia Rodisio, storica formazione teatrale parmigiana che negli anni ha conquistato i più importanti palcoscenici nazionali e internazionali, costruendo un ricchissimo repertorio di spettacoli e progetti, rivolti soprattutto all’infanzia. Da quest’anno i Rodisio sono ufficialmente entrati nel nuovo ”ensemble” di artisti associati del Teatro delle Briciole / Solares Fondazione delle Arti, che, sotto la direzione di Giuliano Maria Tenisci, vede altresì coinvolti Maurizio Bercini, Marina Allegri, Arturo Armone Caruso, Katia Ippaso e la compagnia Il Mulino di Amleto. Nella prima parte della stagione 2021_22, che si chiuderà con la pausa natalizia, il lavoro di Capece e Doro è stato sicuramente uno dei principali protagonisti della programmazione, con la messa in scena di ben quattro produzioni, fra nuove riprese e debutti. Ma qual è la direzione intrapresa dai Rodisio chiamati a sviluppare una progettualità triennale che tenga fede ai “principi di formazione, condivisione e crescita culturale delle nuove generazioni”? Lo abbiamo chiesto a Manuela Capece.

Come artisti associati che bilancio sentite di fare per il periodo ottobre - dicembre al Teatro delle Briciole? “Assolutamente positivo. Possiamo senz’altro dire che ci è stata data una straordinaria possibilità, l’opportunità d’iniziare un corso nuovo che coincide, tuttavia, con un momento storico e sociale molto fragile e delicato. Trovare un luogo e un gruppo capace d’investire sulla nostra ricerca artistica è stato vitale; ed è ancora più stimolante poter condividere tutto questo entusiasmo, questa voglia di creare e realizzare con altri artisti, con altre poetiche. È bellissimo poter incontrare nello stesso spazio di lavoro Maurizio Bercini e Marina Allegri, i nostri maestri, e scoprire sinergie comuni con chi non conoscevamo ancora, come Il Mulino di Amleto o Katia Ippaso. Questa incredibile occasione ci ha consentito d’immaginare cose e idee nuove. C’è da dire anche che il nostro nuovo percorso qui lo abbiamo iniziato un po’ prima degli altri, progettando alla fine del 2020 lo spettacolo “I sognatori”, poi slittato, con l’arrivo della pandemia, al 2021”

Quattro le produzioni che avete rappresentato in questi primi mesi: “Caro orco”, “I sognatori”, “La pancia del mondo” e “La migrazione degli animali”. Oltre ad essere dedicate ai giovanissimi spettatori, c’è un fil rouge sul piano semantico e drammaturgico che lega questi lavori? “Ad essere onesti, avere così tante produzioni in cartellone non era previsto fin da subito; la loro programmazione si è accavallata per via dell’emergenza sanitaria. Ci siamo ritrovati a dover fronteggiare dei tempi di lavoro molto intensi, per recuperare anche quello che ci era mancato nei mesi di chiusura, e ne siamo stati davvero felici. Anche nel periodo di lockdown, abbiamo progettato molto, maturato idee che sono nate in un momento di attesa, toccando tematiche diverse che poi sono sfociate in alcuni dei lavori visti finora. Possiamo senz’altro dire che il fil rouge che lega tutta questa materia teatrale prodotta è lo sguardo sulla contemporaneità, con parole e suggestioni che a volte ritornano per connetterci sempre alla profondità del rito collettivo. L’attenzione al “contemporaneo” non viene mai meno, ne “I sognatori”, ad esempio, essa richiama a una riflessione sul ruolo e il valore dell’arte oggi, ne “La pancia del mondo” l’invito alla contemplazione rivolto ai più piccoli suggerisce un’idea di pace e quiete, aspetti questi ultimi che stiamo rischiando di perdere”

Questo dicembre porta per voi un’altra novità, una nuova produzione e un’ospitalità speciale… “È vero, un regalo a cui eravamo ormai pronti a rinunciare: due anni fa ci è stato chiesto dall'associazione AcoOkinawa in Giappone e dal festival Ricca Ricca Festa, uno dei più prestigiosi festival asiatici dedicati alle creazioni jeune public, di realizzare un “Romeo e Giulietta” per l’infanzia. Questa produzione, che stiamo provando ora insieme agli interpreti giapponesi nella sala del teatro al Parco, debutterà nel gennaio 2022. Non è stato per nulla facile pensare agli spostamenti in questo periodo; inizialmente avevamo programmato di partire io e Davide ma con le nuove restrizioni giapponesi ci è stato impossibile organizzare. Alla fine, sono venuti gli attori da noi, e una ventina di giorni fa finalmente ci siamo incontrati qui a Parma e abbiamo potuto iniziare a lavorare assieme. È una realtà culturale con cui collaboriamo da 10 anni e siamo davvero felici che il nostro spettacolo debutti con loro a Okinawa”

Tornando invece al vostro impegno come artisti associati, come si svilupperà il progetto triennale a cui siete stati chiamati? “Abbiamo proposto due percorsi artistici che si concluderanno nel 2024: uno di creazioni e ricerca, indirizzato al pubblico delle scuole materne, elementari e medie, che abbiamo intitolato “La trilogia della cura”, intesa come cura dell'anima, dell'altro e di ciò che ci circonda. Sarà dunque diviso in tre capitoli e inizierà con uno spettacolo per i più piccoli, per poi continuare con il lavoro già iniziato ne “La migrazione degli animali” rivolto alle elementari, e finire quindi con l’ultimo capitolo che affronterà il tema di un mondo che brucia sotto tutti i punti di vista, climatico, sociale, politico. Oltre a questo, abbiamo proposto un secondo percorso triennale che riguarda strettamente il nostro territorio e che è intitolato “La comunità sentimentale”: coinvolgerà diverse realtà della città, cercherà di stabilire connessioni nuove, ad esempio tra adolescenti e anziani. Si lavorerà per mettere un focus, attraverso l’arte teatrale, la danza e la scrittura, sulla comunità più fragile”

I prossimi mesi vi vedranno protagonisti anche di un’altra avventura artistica, un progetto importante per la città che si lega all’arte contemporanea e alla fotografia. Di che si tratta? “Farà parte di questa ricerca condotta insieme alla comunità del territorio, e sarà un’iniziativa speciale volta ad indagare il concetto d’identità nell’adolescenza e pre-adolescenza. Lavoreremo in collaborazione con il Complesso Monumentale della Pilotta. Si rivolgerà ad otto diverse classi di ragazzi/e, partendo dalla prima media fino alla quinta superiore, e svilupperemo il progetto "This is me" insieme alla Galleria Nazionale, includendo anche altri percorsi artistici come quello della fotografa Cristina Nunez. Si partirà da singoli autoritratti e, attraverso alcune fasi, ci si interrogherà su cosa sia oggi la vulnerabilità, intesa come qualcosa da proteggere, un tesoro prezioso. L’obiettivo sarà la realizzazione di oltre 200 autoritratti, che verranno poi presentati come in una esposizione viva, diventando parte del tessuto architettonico urbano, in grado di collegare il Palazzo della Pilotta al Teatro al Parco”

I vostri spettacoli sono costruiti come riti collettivi, momenti unici per allenare la capacità d’immaginazione e l’empatia. Come sentite, da artisti, la crescente tensione sociale, le disuguaglianze, la perdita di fiducia di questo periodo storico? “È un periodo estremamente difficile, ma per chi come noi fa un lavoro artistico, è anche il tempo in cui sentiamo forte la responsabilità di quel che facciamo: noi trasformiamo la realtà, le emozioni vissute diventano materia d’interazione, ecco perché dico che i nostri spettacoli affondano le radici nel contemporaneo anche quando s’ispirano a leggende antiche. Il teatro è poi una straordinaria forma di resistenza che porta a voler prendersi cura dell’altro; è un modo per esorcizzare la paura e sconfiggere la violenza perché è fondato sul dialogo e lo scambio. Dunque, credo che il mondo entri a teatro con tutti i suoi contrasti, con i problemi e le tensioni, ma è poi compito dell’artista mutuare tutto questo, riempire il teatro di senso, aprire gli occhi sulla vita. Per questo il teatro deve essere sorprendente, luogo di forti passioni e libera fantasia”

Tornare a lavorare stabilmente nella vostra città d’origine, in quel territorio che vi ha visto crescere come compagnia… Quanto significa per voi e quale responsabilità comporta? “Il nostro spirito continua ad essere nomade, ma questo teatro rappresenta per noi davvero un ritorno a casa. Negli anni abbiamo costruito profondi rapporti con diversi luoghi, dall'Espace600 di Grenoble al Tak Theater Liechtenstein, fino al Giappone stesso, avendo avuto modo di viaggiare tantissimo. Il Teatro delle Briciole è però un luogo speciale, conosciuto, anche per questo abbiamo voglia di lavorare bene, con passione e con verità, senza compromessi. È uno spazio d’incontro, un terreno fertile, dove andiamo a seminare e a incrociare le nostre esperienze con quelle altrui, per sperimentare. È qui, nella possibilità di confrontarsi con altre realtà, che risiede la vera ricchezza. Quest’anno inizieremo anche un percorso di formazione, grazie ad un bando Cariplo vinto in sinergia con il Teatro Comunale di Casalmaggiore, altra realtà culturale con cui da anni abbiamo un profondo rapporto. Sarà un progetto che si articolerà fra teatro e architettura e che coinvolgerà le scuole medie, sfociando in una produzione teatrale nel 2023, sostenuta da Elsinor Centro di Produzione Teatrale e parte del progetto europeo ConnectUp. Tanto lavoro ci aspetta, se vogliamo continuare ad allenare il nostro pubblico all’empatia e alla libertà dell’immaginazione” 

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