L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

STEFANO RICCI - GIANNI FORTE: "LA NOSTRA BIENNALE TEATRO"

Krzysztof Warlikowski, Kornél Mundruczó e Proton Theatre, Roberto Latini, Kae Tempest, Thomas Ostermeier e Edouard Louis, Danio Manfredini, Francesco Pititto e Maria Federica Maestri di Lenz Fondazione, Agrupación Señor Serrano, Filippo Andreatta e il suo Office for Human Theatre, Adrienn Hód, Paolo Costantini. Sono questi gli straordinari artisti che andranno in scena dal 2 all’11 luglio 2021 alla Biennale Teatro, nell’ambito della quarantanovesima edizione del Festival Internazionale del Teatro che a Venezia inaugurerà quest’anno la Direzione Artistica di Stefano Ricci e Gianni Forte, autori e registi tra i più ribelli, coraggiosi e sperimentatori della scena contemporanea. E sarà una palette di colori a siglare la traccia della loro progettualità quadriennale e a comporne così il racconto, partendo dal Blue, inteso in tutte le sue sfumature, che farà da guida proprio all’edizione 2021. Ai Direttori abbiamo chiesto di raccontarci i principi fondanti di questa nuova entusiasmante impresa.

La scelta di una gamma di colori che accompagni il disegno progettuale sembra già rivelare apertamente un indizio, ovvero la volontà di lavorare miscelando, come su una ideale tavolozza da pittore, diversi linguaggi espressivi, quelli dell’arte visiva, della musica, della danza, dell’architettura. Quello del futuro sarà, dunque, un teatro che non potrà fermarsi a un colore primario, ma che per rinascere a nuova vita dovrà sempre di più connettersi e fondersi con i “colori” di altre discipline? “Il progetto per l’edizione 2021/2024 di Biennale Teatro si delineerà e prenderà la forma di una tetralogia, centrata sull’esplorazione dell’Uomo di oggi e delle sue labirintiche sfaccettature. Sarà composta da quattro parti con una matrice tematica differente e legata paradigmaticamente ad un pigmento specifico per ciascun anno che agirà da principio attivo, così da contagiarci emotivamente e dipingere il senso del nostro viaggio verso un ritorno a casa, finalmente cittadini del mondo. Non esistendo un solo teatro ma una pluralità di teatri possibili, e non conoscendo dogane, le creazioni future sconfineranno oltre le linee di demarcazione con una molteplicità di mezzi espressivi. La nostra Direzione Artistica, instaurando scambi concreti tra discipline (come la Danza, la Musica, l’Architettura, il Cinema e le Arti Plastiche), accostando, sollecitando e ibridando partner di gioco inediti – grazie ad una tavolozza con una vastissima declinazione di chiaroscuri, un interminabile défilé di sfumature e simbolismi – si prodigherà nell’edificare cantieri di sperimentazione, dando nuove vie d’accesso ad opere d’interferenza che scavino nella salina del senso. Da lì poi si potrà salpare alla volta di originali traiettorie poetiche e crossing languages, esplorando infine tutta una serie di arcipelaghi linguistici, gestuali, visivi, acustici poco noti o sconosciuti, come se fossero paesaggi d'incanto bruegheliano”

Concept di questa vostra prima edizione, il blue, una nuance che ha la valenza spirituale, poetica, sentimentale di trasportare i soggetti in una dimensione d’interiorità, ben oltre la realtà materiale, e che pare suggerire la necessità di una profonda indagine introspettiva, di un ascolto intimo e autocosciente, prima ancora che collettivo, alla base di un’attenta e consapevole riflessione sulla funzione del teatro oggi. È così? “Come ogni essere vivente, anche il colore cambia, si trasforma. Non si lascia imprigionare in categorie rigide o immutabili e quasi sempre si scinde in identità con valenze opposte tra loro. Ecco perché tutte le arti, la politica, la scienza, la religione, la pubblicità e la moda, il design, l’industria, etc. sono irresistibilmente sedotti da queste peculiarità che hanno cercato di cogliere nel corso dei secoli e tentano ancora oggi d’impadronirsi del segreto di queste misteriose proprietà di cui, però, solo i colori possiedono le chiavi d’accesso. Per tracciare il filo del pensiero che anima i nostri contemporanei siamo partiti dal blue– simbolo ambivalente dello spazio infinito, del cielo e del mare, metafora del viaggio “scelto” con la felicità di orizzonti lontani ma anche del viaggio “obbligato”, quello della via Crucis delle migrazioni, con la nostalgia, la solitudine, l’angoscia dell’abbandono – che ci introduce ad un’introspezione più intima e personale prima di diventare collettiva. Dal momento che, come nelle fiabe più crudeli, la malinconia, il confinamento e la morte stessa ci hanno congelato in un incantesimo malefico, il silenzio carcerario dei Teatri vuoti, insieme a tutti gli altri spazi di Cultura, potrebbe essere raffigurato come una gigantesca bolla di un azzurro glaciale che, in seguito al lockdown, ha avvolto artisti e maestranze, costretti a casa per più di un anno e mezzo, in balìa di una pericolosa situazione di stallo e di un’emergenza economico-sanitaria in atto. “Spegneremo il sole e la luna e stimoleremo scoperte”, scriveva Emily Dickinson. Fortunatamente il Teatro, essendo un organismo di per sé pulsante, testimoniando questo momento d’instabilità, ci permetterà di far luce e dibattere sullo smarrimento in cui siamo sprofondati; sarà in grado di riavvicinarci alla sua arena come luogo di vita condivisa, di discussione pubblica, e tornerà a far dialogare tutta la Comunità, così come si faceva nell’Antica Grecia. Solo così potremo affrancarci dalle tenaglie letali del conformismo, del dispotismo del mercato di massa, della letargia burocratica e combattere la desertificazione dello spirito, cercando, per quanto possibile, di arrestare l’avanzata di una incalzante mutazione antropologica”

In che modo gli spettacoli in programmazione quest’anno entreranno in relazione con “le ferite, i vuoti, le differenze del proprio tempo”, per dirla alla Copeau? Riscrivendo quale grammatica comunicativa? “Orientati dal nostro ago magnetizzato nella ricerca e scelta di un fil blue comune che li legasse idealmente – oltre all’urgenza e la consapevolezza che la devastazione e il disastro sono cominciati già da tempo e non solo oggi con la diffusione planetaria del virus – questa prima edizione di Biennale Teatro sarà composta da tredici spettacoli, tra italiani e stranieri che, con una torsione dello sguardo, inviteranno lo spettatore ad abbandonare le proprie difese per inoltrarsi in questa “selva oscura” di dantesca memoria, apparentemente ostile ma ricca invece di cambiamenti. Il nostro Festival sarà come una sorta di pentagramma sul quale le note di ogni singolo spettacolo, ciascuno a suo modo e con una personale lettura del mondo e dei suoi misteri – attraverso voci, ritmi, timbri, registri e temi differenti – contribuirà a creare una magnetica melodia universale, che ispezionerà i lati bui, la crudezza e dolcezza dell’esistenza, per spronarci a riflettere, a porci dei dubbi, offrendoci delle linee guida possibili per interpretare il Presente. Ogni artista, con il suo personale flash, impressionerà la lastra fotografica del nostro tempo, e forse anche quello che profeticamente potrà accadere domani, per farci riscoprire, come si fa dopo essere tornati da un lungo viaggio, un universo, il nostro, e un’umanità, la nostra, da trasformare e proteggere, se vogliamo evitare la catastrofe incombente”

L’aspetto pedagogico e la formazione di nuove generazioni di professionisti del settore non verrà meno in questa edizione, con una speciale attenzione a sostegno del talento nell’arte performativa site specific. Un impegno particolare che implica quale istanza? “Considerare che il teatro non vive più di compartimenti rigidi; prendere atto che la liquidità di cui tanto si discute a livello sociale è prerogativa della creazione artistica. Se la Biennale di Venezia ha la reputazione, a livello mondiale, di farsi termometro delle istanze culturali del futuro, era inevitabile che con la nuova Direzione Artistica si ponesse la lente d’ingrandimento sul significato più arcaico del Teatro: tornare tra le persone per innescare riflessioni. In questa lenta e progressiva ripresa, gli effetti collaterali del lockdown totale di 18 mesi hanno generato criticità che vanno affrontate per ridefinire i perimetri di costruzione. Tra queste la diffidenza degli spettatori di sentirsi nuovamente a casa in un luogo che, seppur generatore di emozioni e interrogativi, resta uno spazio chiuso e pubblico. Il bando, creato per performance in site specific - atto a far emergere la figura di giovani artisti, performer che si esprimono con codici e grammatiche nuove - ha prodotto due vincitori (Stellario Di Blasi e il collettivo Ness) che presenteranno i loro progetti in prima nazionale all’interno del Festival di questa edizione, accanto a colleghi internazionali di riconosciuta fama. Il Teatro non conosce frontiere e, soprattutto, ha lo sguardo verso il futuro di nuove forme artistiche che ridefiniranno anche il valore etico tra cultura e polis”

Anche il Festival di quest’anno presenterà un nutrito programma di Master Class (con figure del calibro di Martin Crimp, Chiara Guidi, Galatea Ranzi, Leo Muscato, Nicole Kehrberger, il maestro Riccardo Frizza, Monica Capuani, Andrea Porcheddu, Davide Carnevali) che risponde all’esigenza di restituire il teatro al pubblico e di farlo in maniera attiva e partecipativa, attraverso dialoghi, confronti, approfondimenti, e dove, va detto, rispetto al calendario degli spettacoli è più presente il contributo professionistico femminile. Uno sguardo che renderà ancora più essenziale e significativa questa proposta del Festival, quindi? “È la restituzione del Teatro intesa come riappropriazione di senso e di costruzione di uno Stato. Gli ospiti della rassegna, i bandi e così le Master Class si stringono per raccontare il bisogno concreto di un Rito, un’analisi etica di cui siamo stati privati per troppo tempo: come fa un Paese a smettere di confrontarsi per un periodo così lungo? Quali le conseguenze di un’assenza di agorà? Per quanto concerne le questioni di genere, i finalisti dei bandi regia e autori presentano una percentuale equamente ripartita tra i sessi; le stesse Master Class e i Maestri che le conducono riportano identica condivisione nel gender. Nel programma del Festival la componente maschile in evidenza racconta esclusivamente una questione di livello qualitativo: il talento non ha sesso e le qualità artistiche non mettono grembiuli rosa o blu. C’è bisogno di tornare a confrontarsi con le radici, con i grandi Maestri, per recuperare quella forza di ricostruzione di cui, soprattutto i giovani, si stanno facendo carico: le nostre Master Class, con eccellenze internazionali per ogni disciplina, forniranno gli strumenti necessari all’ibridazione delle arti, a smantellare quei perimetri in cui le discipline (parola, corpo, poesia, musica) abbandoneranno i loro compartimenti stagni per una fusione espressiva rigenerante”

La recente sperimentazione televisiva “Hic sunt leones”, il documentario on the road dove avete raccontato le gesta di piccoli eroi quotidiani, gente comune della provincia e delle grandi metropoli, quali segni ha lasciato o portato nella vostra idea di relazione fra pubblico e spettacolo teatrale? È un’esperienza che ha influito, in qualche modo, anche sulla riflessione che condurrete alla Biennale in qualità di Direttori? “L’avventura televisiva è solo un tassello di una ricerca che parte da lontano. La concretezza dell’esistenza, l’attingere residui di forza interiore inaspettata dalla brutalità degli eventi, il trasformare in poesia la ruvidezza dei giorni sono binari di indagine che ci accompagnano da sempre. Il Teatro deve farsi garante del tempo che abita. E delle crisi che questa epoca comporta. Soltanto scendendo dalle assi del palco, tuffandosi nelle strade, vivendo in ascolto degli altri potremo attingere a quella linfa in grado di restituire il soffio vitale ad un rito apparentemente consunto e deprivato della sua dignità”

Per chiedere una vostra considerazione sul grave stato di crisi in cui versa tutt’ora il settore culturale citerò alcune parole di Garcia Lorca a proposito dell’importanza della poesia: “la poesia richiede una lunga iniziazione, come qualsiasi sport, ma c’è nella vera poesia un profumo, un accento, un tratto luminoso che tutte le creature possono percepire; e voglia Iddio che vi serva per nutrire quel granello di pazzia che tutti portiamo dentro”. Perché è imprudente e pericoloso vivere senza la possibilità di condividere questo minuscolo granello di follia e come il Teatro del futuro potrà aiutare a riscoprirlo e nutrirlo? “Non possiamo più tornare indietro. Il Teatro non si può rammendarlo come un vestito. La sua è forza rivoluzionaria perché risveglia l’uomo nell’uomo. “De te fabula narratur”, diceva Orazio nelle sue Satire. Il Teatro può raccontare la vita ancora meglio di come la si vive, è fonte di conoscenza di noi stessi e del mondo intorno a noi, per cui è assolutamente necessario e non un accessorio anodino, come vorrebbero i nostri governanti e segretari di partito, asfaltando i nostri valori. È il cavallo di Troia per prendere la città e deve continuare ad essere un forum, una piattaforma con una funzione di servizio pubblico, nutrimento fondante per l’anima dei cittadini e per la crescita del nostro Paese. E per appunto nutrire quel grano di follia che ognuno porta dentro di sé e senza il quale è imprudente vivere, il Teatro allora s’inventerà altre forme d’intersezione tra artisti/spettatori per intrecciare un legame solido tra passato_presente_futuro e indagare la parte più profonda di noi. Saprà strapparci da questo incubo senza fine, tornando a “commuovere” nel senso originario che ha questa parola, ovvero “muovendo” in noi un forte sentimento, liberando la fantasia e dissolvendo lo spazio dell’umano esistere a cui diamo il nome di reale, accendendo incendi di controversie dialettiche, restituendoci così le nostre giornate infuocate di topazio e quella coscienza politica e poetica che rende adulto uno Stato”

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