L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

VINCENZO PICONE e DAVIDE GAGLIARDINI: "I Giorni dell'Alambicco: un festival per il Teatro di Comunità"

“Concepire il lavoro all’interno di una comunità come un processo osmotico, in cui l’agire teatrale si interseca con il territorio di riferimento”. Si potrebbe condensare in questo pensiero la principale motivazione che ha spinto l’intraprendente associazione Anello Debole, compagnia di artisti professionisti e giovani appassionati di teatro, capitanata dal regista Vincenzo Picone e dall’attore Davide Gagliardini, a investire creatività, talento, fantasia, energia e tempo nella realizzazione di un vasto e capillare progetto di teatro partecipato sul territorio di Felino, in provincia di Parma. È ciò che ha portato al disegno e alla realizzazione di una serie di appuntamenti, dialoghi, laboratori, iniziative, spettacoli che, dopo una prima tappa nell’estate del 2020, partendo dalla piccola frazione di Poggio Sant’Ilario, ha saputo coinvolgere le località vicine e gran parte della comunità felinese. Nei mesi, forte del sostegno del Comune di Felino e dell’appoggio di molte realtà associative e commerciali del paese, il progetto originale ha preso forma, struttura e organicità, e dopo un anno di tenace e costante lavoro teatrale e “relazionale”, proposto ma soprattutto agito dalla compagnia insieme alla cittadinanza, confluirà, dal 26 al 29 agosto, nella edizione zero di una grande Festa del Teatro di Comunità, “I Giorni dell’Alambicco”. Un rito collettivo che nell’arco di quattro giornate “possa abbracciare tutto il territorio comunale e le sue diverse e peculiari realtà e che queste, attraverso il teatro, abbiano occasione di raccontarsi”, così vuole intenderlo la compagnia promotrice e così si legge nell’introduzione al programma, che verrà ufficialmente presentato in conferenza stampa venerdì 20 agosto alle ore 11,00 presso la Sala Civica R. Amoretti a Felino. Ma cosa significa oggi interrogarsi sul senso della parola “comunità” attraverso il Teatro? Lo abbiamo chiesto proprio a Vincenzo Picone e a Davide Gagliardini. 

Vi definite “Anello Debole” ma oggi, giocando per ossimoro, l’associazione è diventata una realtà molto forte, e questo è stato possibile non solo grazie al sostegno delle istituzioni ma anche in virtù della collaborazione intrecciata nei mesi con altri soggetti teatrali. Un riconoscimento che vi ha condotto anche a vivere quest’estate l’esperienza di una tournée fuori regione. Cosa è dunque cambiato rispetto al periodo iniziale della vostra attività?

“(Picone) È successo che un intento che avevamo lanciato, un obiettivo immaginato e discusso fra noi, ossia d’interrogarci sul senso della comunità rapportandolo a diverse comunità, e quindi d’indagare cosa fosse la comunità proprio attraverso l’incontro con altre realtà e altri contesti geografici e sociali, si è infine avverato, con nostra grande gioia, portandoci a scorgere e a ragionare sulle radici umane ancor prima che organizzative, associative o politiche. Tutto questo lo avevamo desiderato a settembre dell’anno scorso, durante la prima fase degli incontri e dei laboratori. Ci siamo detti “ Tutto quello che stiamo provando a costruire qui potrebbe essere un dispositivo interessante” e uso dispositivo volutamente, nella sua accezione più antica “qualcosa da diffondere e promuovere, creando una formula di dialogo che contempli tanto la parte drammaturgica quanto quella puramente relazionale da instaurare con i cittadini di un luogo, di una città o di diversi paesi. È un modo unico e speciale per dare opportunità alle persone di scontrarsi, dialogare e ritrovarsi in una serie di narrazioni. Ecco, la speranza di portare quanto stavamo cercando di fare a Felino anche in altri paesi si è concretizzata e questo è stato possibile anche nell’incontro con realtà bellissime già attive quali il Festival Confluenze in Val Tidone, dove ci siamo trasferiti per quattro giorni lavorando insieme a un percorso laboratoriale, e l’associazione Tra i Binari che ci ha ospitato al Festival di San Miniato”

“(Gagliardini) Inoltre, abbiamo raggiunto una maggiore consapevolezza del gesto teatrale su cui lavoriamo, che non è quello tradizionale e non presuppone più una frontalità dell’attore. È qualcosa di nuovo, lontano dal gesto classico, che, tuttavia, ci riporta a qualcosa di antico, alle origini del rito. Negli spettacoli che allestiamo l’attorialità non si setta su quegli strumenti che sono ormai diventati abituali. Questo nuovo gesto “teatrale” a cui attingiamo costringe a un altro tipo di ascolto e a pensare una diversa progettualità, ci mette in gioco come attori, ma in primis come esseri umani. È come se cercassimo le risposte sul materiale umano che entra a far parte del lavoro, senza più partire dal testo, ma prestando attenzione per trovare un compromesso fra la propria necessità individuale e quella di chi si coinvolge. Quando tutto questo processo avviene anche in uno spazio nuovo, come appunto è accaduto durante la tournée, è come spargere e al tempo stesso raccogliere energie diverse, vitali per la stessa creatività”

Veniamo, invece, a “I Giorni dell’Alambicco”, la festa del teatro che dal 26 al 29 agosto coinvolgerà la comunità felinese e non solo. A tracciare il programma, davvero nutrito, ci siete arrivati “facendo sistema”, condividendo cioè direttamente la cittadinanza in attività ed eventi che hanno segnato concretamente le tappe di avvicinamento al festival. Come è stato possibile portare avanti in modo sistematico e ordinato un quadro progettuale così composito?

“(Picone) Ci ha guidato la necessità, e anche la forza di volontà. Per necessità intendo l’urgenza di capire cosa potesse accadere mettendo in campo tutte queste forze, tutte queste idee. Quello che stiamo facendo è tuttora un esperimento ma è appunto necessario, a nostro avviso, perché solleva una domanda sul futuro:  cosa succederà ad ottobre dopo un’esperienza condivisa per così lungo tempo, dopo tutte queste sollecitazioni? Su un territorio non abituato a un certo tipo di prassi teatrale, e che negli ultimi anni ha visto perdere molte occasioni d’incontro collettivo, come le sagre, crediamo sia importante riflettere sulla qualità dello stare insieme. A noi non basta ritrovarsi, ci deve essere un “fuoco” che ci unisce, una parola, un confronto. Oggi, dopo tutto l’impegno svolto, ci sentiamo ancora come contadini che stanno arando un campo. Il tempo della semina è lontano e sarebbe bello che quest’azione non spettasse solo a noi, ma che coinvolgesse tutti coloro che desiderino farsi traino per nuove occasioni di condivisione e incontro comunitario. Noi, senza dubbio, continueremo a fornire lo strumento teatrale e lo metteremo al servizio della collettività”

Il programma del Festival si svilupperà su quattro giornate ciascuna delle quali intitolata a uno stadio della distillazione: combustione, dissoluzione, evaporazione e sublimazione. Cosa ha ispirato questa suggestione metaforica e come evolverà, teatralmente, nella pratica?

“(Gagliardini) Esattamente, ogni giornata richiama una fase del processo alchemico, di cui l’alambicco è il simbolo, lo strumento antico che riduce all’essenziale. Perché questa metafora? Perché vorremmo che il lavoro svolto durante l’anno venisse distillato in una sorta di goccia ideale che per noi è rappresentata, sì, dalle giornate di eventi, ma anche dallo spettacolo “Gli Uccelli. Da Aristofane ad Attar” con cui debutteremo il 27 sera, e che al suo interno conterrà anche elementi riconoscibili della realtà felinese, del presente vissuto dalla cittadinanza. In quell’occasione in particolare, ci piacerebbe che gli abitanti coinvolti nella messa in scena si "funzionalizzassero" di più, per andare oltre la propria storia personale e provare ad assumere su loro stessi un carattere più universale, che tocca nel racconto anche le conflittualità e le asperità. Un processo come quello che metteremo in atto nel festival, e che è così ben simboleggiato dall’operazione del distillare, non può in alcun modo prescindere dalla conflittualità a cui si viene chiamati nella narrazione. La fotografia a cui vogliamo arrivare è quella di una moderna sacra rappresentazione della città e di chi la abita. È, dunque, qualcosa che ha strettamente a che fare col processo alchemico, se ci pensiamo bene: anche qui dal marasma degli elementi si cerca, attraverso vari passaggi, di distillare qualcosa, che sia un pensiero, una visione, una direzione. Non è stato facile spiegare tutto questo alla gente, e sin da subito abbiamo dovuto impegnarci tutti, noi e loro, a stabilire un rapporto di fiducia e scambio reciproco, far comprendere la novità di un gesto teatrale che non è semplice performance offerta al pubblico, ma che al suo interno, per vivere ed esprimersi, ingloba l’esperienza dello spettatore stesso”

“(Picone) Proprio così, come nei processi alchemici quello che si vedrà a “I Giorni dell’Alambicco” non riguarda le proposte inserite in un calendario di eventi, ma l’esperienza diretta dello spettatore, invitato a seguire idealmente tutti i passaggi esemplificati nei titoli dati alle giornate. Gli antichi alchimisti come Paracelso si riferivano all’alambicco per creare un’allegoria della trasformazione individuale, quella trasformazione che oggi è più che mai necessaria per parlare consapevolmente di comunità”

E infatti primissimo appuntamento in programma, il 26 agosto, sarà un incontro/convegno sul Teatro di Comunità con ospiti d’eccezione, rappresentanti di alcune delle più apprezzate compagnie teatrali nazionali (ATIR, Teatro dell’Argine, Epiteatro, Luoghi Comuni, Tra i Binari, Filamenti Urbani). Un’occasione, dunque, per riflettere su quanto vedremo realizzato a Felino ma anche per confrontarsi sul futuro del teatro?

“(Picone) Lo vivremo proprio così, come un momento indispensabile per discutere ed esperire delle pratiche teatrali utili per il futuro. Il teatro tradizionale, quello d’impostazione classica, è agonizzante da tempo, e forse, per noi al di là dell’essere attori, registi, direttori, è importante prenderne atto. Cerco di spiegarmi meglio: pensiamo ai violinisti che suonavano la sera in cui affondò il Titanic. Certo, l’immagine dei musicisti che continuano imperterriti ad offrire arte anche in un momento tragico, è di per sé poetica, ma noi artisti cosa vogliamo fare oggi? Vogliamo comportarci come i violinisti del Titanic o vogliamo provare ad attivare forme di salvataggio che possono magari in futuro diventare nuove imbarcazioni per navigare sicuri? È un discorso complesso, intricato, ma dobbiamo partire da questo presupposto per interrogarci con onestà sullo “stato dell’arte teatrale”. Ebbene, tutti gli ospiti che parteciperanno al dibattito, portando nuova acqua a quel terreno ideale che stiamo preparando alla semina, non solo parleranno di quello che significa oggi “teatro di comunità”, ma si metteranno alla prova, dimostreranno concretamente”

“(Gagliardini) Concordo con quanto dice Vincenzo e aggiungo che anche nel teatro più prettamente “istituzionale” si sente da tempo l’esigenza di riorganizzare forme e linguaggi. Si percepisce forte un’eco di richiamo e questo è già significativo. Se l’ingranaggio, mosso da pensieri, dubbi, interrogativi, riflessioni, rimane ben oleato, allora una rinascita del teatro è possibile”

Oltre ai vari appuntamenti mattutini e pomeridiani, dicevamo dello spettacolo speciale che debutterà il 27 sera, “Gli Uccelli. Da Aristofane ad Attar”. Potete svelarci qualcosa di più?

“(Picone) Ripartiamo da quello che è un archetipo teatrale, dall’opera di Aristofane. L’idea è nata l’anno scorso e per una ragione che potremo definire “didascalica”, nel senso che negli Uccelli assistiamo a uno slancio, all’espressione di un desiderio che sembra puro, forte, proiettato verso un luogo ideale, fondato su valori e principi che non sono gli stessi del vecchio sistema di potere. Tutto il discorso che si attraversa risponde però a un approccio distruttivo, senza che ci sia una visione chiara e nitida del futuro. La continua distruzione del passato in Aristofane diventa essa stessa distruzione. La cosa interessante è che questo testo ha un impianto che potremo definire “orizzontale”, ovvero strettamente politico, mentre manca l’aspetto spirituale, un simbolico sguardo verso il cielo. Manca dunque lo slancio verso un orizzonte di cambiamento interiore, che noi abbiamo chiamato “l’asse verticale” della narrazione e che è quello che abbiamo ritrovato nel poema di Attar, testo non teatrale della letteratura Sufi, ma comunque attraversato da grandi maestri della scena quali Peter Brook. Nell’opera di Attar è forte il richiamo alla ricerca del re, il Simurgh nella mitologia persiana, e al sacrificio che questa coraggiosa impresa comporta: abbandonare l’orizzonte a cui si è abituati, mutare paradigma di riferimento, e cambiare inevitabilmente il proprio punto di vista. In questo nostro lavoro abbiamo provato a incrociare queste due opere dal valore assoluto. Avremo così un gruppo di uccelli che sarà interpretato da 20 giovanissimi, ragazzi e ragazze dove in potenza c’è tutto, rappresentativi di un’età in cui si sceglie, ma che è anche storicamente l’età più abusata dalle classi politiche, troppe volte sottomessa dalla prassi di un potere costituito. La verticalizzazione, lo slancio interiore e spirituale, di cui dicevamo prima, sarà invece personificata da un secondo gruppo di uccelli che proverà a dimostrare teatralmente l’esistenza di un’altra possibilità, di una prospettiva diversa che nasce e cresce dentro di noi. Pars destruens e pars construens dialogheranno in scena e porteranno avanti i temi della narrazione attraverso una soluzione drammaturgica in cui i cittadini di Felino incarneranno il Presente”

“(Gagliardini) Insomma, non vedrete l’opera di Aristofane tradizionale. Abbiamo compiuto qualche forzatura sul testo, anche a livello drammaturgico, ad esempio caratterizzando diversamente il personaggio dell’Upupa. E siamo intervenuti consapevolmente anche sul piano delle tematiche, politiche e non solo. Abbiamo, invece, mantenuto intatto un altro tema fondante dell’opera: quello che si riferisce alla tendenza propria dell’Uomo di ripetere comportamenti ed errori, una volta raggiunto il potere”

Oltre al momento del dibattito inaugurale, ci saranno alcune ospitalità in scena, con gli spettacoli di Teatro dell’Orsa, Emanuela Dall’Aglio, Arianna Scommegna e nell’ultima serata la partecipazione del poeta Franco Arminio, quasi a siglare la “sublimazione” nell’incontro fra poesia e teatro. La partecipazione al progetto di queste eccellenze del panorama teatrale e letterario italiano come è stata accolta dalla comunità felinese?

“(Gagliardini) Intanto possiamo dire quello che ha significato per noi della compagnia: un riconoscimento importante del lavoro fatto fino ad oggi e un incentivo a intrecciare legami e dialoghi anche per il futuro. Come questi buonissimi “ingredienti” aggiunti dai nostri ospiti andranno ad amalgamarsi a quanto creato finora, beh…resta per tutti ancora un mistero. Non sappiamo esattamente cosa sfocerà da questa operazione culturale così articolata, ma siamo sicuri che la risposta sarà partecipe e importante”

E dopo la sublimazione? Cosa avete in serbo, una volta concluso il festival?    

“(Picone) Bisognerà prendersi un attimo per riflettere su quello che è successo, su come il progetto è stato recepito, augurandoci che le nostre sensazioni e il nostro entusiasmo continuino ad essere condivisi da tutti. È forte anche la necessità di vivere un momento di formazione, e quindi di dedicare del tempo al confronto con artisti, poeti, creatori di “dispositivi” per la comunità, così da poterci reciprocamente arricchire di esperienze e provare a integrare quanto realizzato fin qui. Sarà, dunque, fondamentale capire quale strada scegliere, come percorrerla, come continuare a muoversi sul territorio, e come proseguire il dialogo con tutte queste altre comunità. Anello Debole è mosso da una spinta naturale di ricerca e scambio relazionale, l’impegno più grande sarà mantenere viva questa necessità e la naturalezza con cui operiamo”

“(Gagliardini) Dobbiamo trovare il tempo per poter crescere e maturare artisticamente, tenendoci saldi a questa volontà di ricerca sul territorio e sul concetto di comunità; un tracciato di lavoro e pensiero che ha bisogno di ritmi speciali. Anche il terreno che si dissoda per essere poi seminato deve a un certo punto riposare a maggese, no? Intanto, speriamo di raccogliere buoni frutti da questa prima tappa del nostro lungo percorso insieme agli amici del territorio di Felino” 

(Seguirà nei prossimi giorni il programma completo del Festival “I Giorni dell’Alambicco”)

(photo credit Davide Giangaspare)

 

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